Antonello Venditti
(Roma, 1949 – )
Laura Zambianchi, The University of Central Lancashire
Antonello Venditti, nato l’otto 8 marzo 1949 a Roma, è autore e interprete di canzoni che spaziano dalla denuncia sociale a una riflessione più intima e personale. Con altri cantautori della sua generazione, come Francesco De Gregori, si è affacciato sul panorama musicale italiano all’inizio degli anni Settanta e appartiene alla cosiddetta Scuola Romana sorta intorno al Folkstudio, uno spazio musicale “alternativo” collocato nel quartiere Trastevere di Roma. Gli anni Settanta furono in Italia anni estremamente difficili, marcati da forti tensioni sociali e da una grave crisi politica.
A indirizzare le scelte tematiche di Venditti (e il suo successo) hanno così molto concorso gli eventi che hanno caratterizzato da allora “il Bel Paese” e lo approfondiremo proprio in questo breve excursus dedicato ai brani più significativi e memorabili di questo “intellettuale popolare”, come si autodefinisce Venditti, usando una locuzione che ci pare più efficace di quella di “cantautore”, un termine spesso impreciso e inteso come sinonimo di “grande artista” (basta essere un cantautore per essere un grande artista?). Tralasciando di approfondire ulteriormente l’annoso dibattito sul termine cantautore e ricordato che, nel bene e nel male, Venditti è effettivamente e pienamente un cantautore in quanto sempre autore dei suoi testi e della sua musica, nonché interprete dei suoi brani, possiamo ora fare cenno a due canzoni dei suoi esordi, composte addirittura quando Antonello era adolescente: “Sora Rosa” e “Roma Capoccia“. La prima, dal titolo anagrammatico, è scritta in romanesco e affronta tematiche sociali quali l’arrivismo, le ingiustizie, la povertà. La canzone fa parte dell’album Theorius Campus (1972) frutto del sodalizio fra Venditti e De Gregori, entrambi allora esordienti. L’ellepì era però dominato e trascinato (con grande dispiacere di De Gregori che sarebbe arrivato al successo solo con Rimmel del 1975) proprio da “Roma capoccia”, concepita da un Venditti giovanissimo e pure già pienamente padrone dei suoi mezzi espressivi, specialmente della sua straordinaria e intensissima voce, una delle più belle della scena canora italiana. Puntellata di termini in vernacolo romano, “Roma capoccia” è nondimeno un brano che ha subito lanciato Antonello a una fama non solo romana, ma nazionale e persino internazionale: da Nord a Sud dello Stivale è difficile trovare qualcuno che non abbia mai intonato i versi “Quanto sei bella Roma quanno piove / Quanto sei grande Roma quand’è er tramonto…”.
Non potendo però, ovviamente, offrire una serie cronologicamente ordinata dell’intero repertorio di Venditti (più di 300 canzoni in quasi 50 anni di carriera) crediamo invece utile segnalare alcuni temi predominanti delle sue canzoni, collocandoli, per quanto possibile, nel loro contesto musicale e sociale. In primo luogo, non può mancare un riferimento al brano “Compagno di scuola” del 1975 e in particolare ai versi:
Compagno di scuola, compagno di niente
ti sei salvato dal fumo delle barricate?
Compagno di scuola, compagno per niente
ti sei salvato o sei entrato in banca pure tu?
in cui Venditti, giocando sul doppio significato della parola compagno, ci parla delle lotte anche da lui condotte durante la sua giovinezza rivoluzionaria, e del successivo distacco da quei valori in nome del disimpegno (e, aggiungo io, del conformismo divenuto imperante in Italia: da notare però che Venditti, forse un po’ paradossalmente, si è continuato a proclamare comunista e cristiano). Ancora legata a questo “clima”, “Giulio Cesare” (Venditti e segreti,1986) dal nome del liceo classico che il cantautore ha frequentato a Roma negli anni prima del “mitico” Sessantotto, un Sessantotto esattamente definito da Venditti, sempre nell’autobiografica “Compagno di scuola”, “ancora lungo da venire e troppo breve da dimenticare”:
Eravamo trentaquattro quelli della terza E
tutti belli ed eleganti tranne me
Era l’anno dei mondiali quelli del ’66
la Regina d’Inghilterra era Pelè […]
Eravamo trentaquattro e adesso non ci siamo più
e seduto in questo banco ci sei tu
Era l’anno dei mondiali quelli dell’86
Paolo Rossi era un ragazzo come noi…
Qui è opportuno precisare che se, per la stragrande maggioranza degli italiani il nome “Paolo Rossi” fa riferimento a Pablito, eroe dell’Italia campione del mondo del 1982. Venditti ha invece spiegato che nella canzone voleva ricordare “uno studente morto negli scontri tra studenti e polizia a Roma nel 1966″. Non un divo nazionale dunque, ma un giovane ragazzo iscritto alla Sapienza di Roma e militante della Gioventù Socialista. Questo preciso riferimento quotidiano, addirittura cronachistico, ci offre l’occasione di segnalare che però l’artista romano ha saputo narrare, oltre a storie caratterizzate da un marcato impegno sociale e politico, anche semplici vicende di amore e di amicizia, gli anni della scuola e dell’esistenza “normale”, i sogni e le sconfitte di ognuno, ecc. in brani che hanno accompagnato (e tuttora accompagnano) la vita di intere generazioni. Ricordo, ad esempio e per scendere sul piano personale, “Amici mai” (“Tu per me sei sempre l’unica, straordinaria normalissima / vicina e irraggiungibile, inafferrabile, incomprensibile”) contenuta nell’album Benvenuti in paradiso pubblicato nel 1991. Il testo della canzone fu inciso sulla mia SMEMORANDA (il diario scolastico “dei miei tempi” liceali) da più mani, a mo’ di sigillo sull’epilogo di una “tragedia sentimentale”. Altrettanto citato, sempre nei miei diari di “studentessa classe 1979”, era l’attacco di “Ricordati di me” (“Ricordati di me / questa sera che non hai da fare / e tutta la città / è allagata da questo temporale”, In questo mondo di ladri, 1988) e poi il ritornello di “Ci vorrebbe un amico” (1984):
Ci vorrebbe un amico
per poterti dimenticare
ci vorrebbe un amico
per dimenticare il male
ci vorrebbe un amico
qui per sempre al mio fianco
ci vorrebbe un amico
nel dolore e nel rimpianto.
Sempre del 1984 è un’altra sempreverde vendittiana quale “Notte prima degli esami”, brano assurto da allora e “per sempre” a simbolo dell’esame di maturità, in un rito nazionale che si ripete di anno in anno per generazioni di giovani italiani.
L’artista romano è inoltre (stra)conosciuto dal grande pubblico per il rifacimento italiano di “Don’t Dream It’s Over“, brano del neozelandese Neil Finn e interpretato dalla band australiana Crowded House. Il titolo italiano è “Alta marea” e alzi la mano (mi rivolgo ai miei connazionali) chi non ha mai intonato (o stonato, nel mio caso) i versi
Lo so lo sai, la mente vola
fuori dal tempo e si ritrova sola
senza più corpo né prigioniera
Nasce l’aurora tu sei dentro di me
come l’alta marea
che riappare e scompare portandoti via…
Tra i differenti temi del canzoniere vendittiano segnaliamo ancora (e quasi alla rinfusa) tra gli altri, la gravidanza tra scuola e adolescenza (“Sara, sono le sette e tu devi andare a scuola / Oh, Sara, prendi tutti i libri ed accendi il motorino / E poi attenta, ricordati che aspetti un bambino”, “Sara”, Sotto il segno dei pesci, 1978), la droga (“Lilly”, Lilly 1975), la religione (“A Cristo”, Quando verrà Natale, 1974), la prostituzione. Vorrei in specifico soffermarmi sul tema “prostituzione”, affrontato nella canzone “Strada” del 1976 (“questa maledetta strada che tutto inghiotte”), che contiene una citazione di Cesare Pavese, lo scrittore italiano morto suicida nel 1950, tratta dal suo diario intellettuale intitolato Il mestiere di vivere e dove troviamo questo pastiche interessante: “il mestiere di vivere, il coraggio di vivere / e l’amore per vivere, un minuto di più”. Del resto, Venditti non è nuovo alle citazioni letterarie: ad esempio il famoso verso “Amor ch’a nullo amato amar perdona” del V canto dell’Inferno dantesco ci viene riproposto, nella già citata “Ci vorrebbe un amico”, come “se amor che a nulla ho amato, / amore, amore mio perdona / in questa notte fredda / mi basta una parola…”. È difficile però trascrivere questi versi senza canticchiarli ed è proprio questa una delle prerogative della forza cantautorale di Venditti: l’aver dato voce alle emozioni del quotidiano in una forma che, se non è altamente artistica, è certamente fortemente memorabile.
E’ necessario ora, per una panoramica più completa, segnalare il legame fra il cantautore e il calcio ricordando, com’è forse universalmente risaputo, che l’artista è un grande fan della squadra della Roma, tanto da aver composto “Grazie Roma”, un “inno” dedicato proprio a questa compagine sportiva. Più precisamente, la canzone (pubblicata nel 1983) è stata scritta per la vittoria del secondo scudetto della Roma ed è regolarmente diffusa dagli altoparlanti dello Stadio Olimpico e cantata a squarciagola dai sostenitori giallorossi. Le parole di Venditti continuano, anche così, a farsi veicolo di emozioni, di passioni, di ricordi, di denunce, ma anche di una riflessione intimistica dal tono mai banale. Significativa in questo senso anche una sorta di autobiografia intitolata – quasi un aprosdoketon! – L’importante è che tu sia infelice, pubblicata nel 2009 da Mondadori e che ricordava emblematicamente una sorte di maledizione familiare alla quale Antonello ha sempre voluto reagire, fino a scrivere e cantare i versi con i quali crediamo giusto chiudere questa nota perché davvero significativi della sua visione del mondo (e forse anche della sua visione della vita):
Che fantastica storia è la vita.
E quando pensi che sia finita,
è proprio allora che comincia la salita.
Che fantastica storia è la vita.
Translated songs: