

(In precedenza conosciuto come Mista Tolu, nome d’arte di Tolulope Olabode Kuti)
(Abeokuta, Nigeria, 1989 – )
Tommy Kuti: ridefinire la propria identità attraverso la musica (Di Anna Terroni)
Nel panorama in continua evoluzione della musica italiana, poche voci sono state così audaci, dirette e culturalmente trasformative come quella di Tommy Kuti. Nato in Nigeria a Tolulope Olabode Kuti e cresciuto in una piccola città della provincia di Mantova (IT), Tommy rappresenta una nuova generazione di italiani, multilingue e multiculturale. La sua musica non è solo un riflesso del suo percorso personale, ma una sfida alle narrazioni dominanti in Italia su nazionalità e appartenenza. Infatti, proprio attraverso i suoi testi taglienti, i ritmi afro e il suo posizionamento politico, Tommy Kuti è diventato una delle figure chiave capaci di spingere la cultura italiana verso un’immagine di sé più inclusiva e vicina alla realtà.
Arrivato in Italia da bambino con la sua famiglia nigeriana e cresciuto in una zona della Lombardia prevalentemente bianca e conservatrice, Tommy è stato spesso trattato come un estraneo nonostante parlasse correntemente l’italiano e condividesse la stessa cultura, istruzione e ambiente dei suoi coetanei. Proprio questa sensazione di essere italiano, ma di non essere visto completamente come tale è diventata presto una delle tensioni centrali del suo lavoro: “mi sono sempre sentito troppo africano per essere considerato pienamente italiano e troppo italiano per essere pienamente africano”, ha dichiarato in un’intervista. Questa percezione di ibridismo, di divergenza dalla norma sociale, non è il punto debole della sua musica; anzi, ben presto si rivelerà la sua forza, qualcosa che lo renderà capace di parlare oltre i confini e di articolare la complessità dell’identità di seconda generazione.
L’album di debutto di Tommy, Italiano Vero (2018), non è soltanto una raccolta di canzoni, ma una dichiarazione, una ridefinizione di ciò che significa essere afro-italiano nel XXI secolo. Il solo titolo dell’album introduce un tema nuovo alla cultura pop italiana, che abbraccia la diversità invece di nasconderla, come l’artista dice nella sua canzone “#Afroitaliano”: “Ho la pelle scura, l’accento bresciano / un cognome straniero e comunque italiano”. Questi versi si soffermano direttamente su una delle esperienze più comuni e dolorose dei giovani di seconda generazione in Italia: essere trattati come stranieri nel Paese che sentono come proprio. Nel corso dell’album, Tommy parla di orgoglio culturale, di relazioni tra culture diverse e della lotta interiore di vivere in un luogo senza mai sentirsi completamente a casa.
La sua musica, dunque, non romanticizza l’esperienza degli immigrati, ma la umanizza e la concretizza. Nelle sue canzoni mescola ritmi inglesi, italiani e di influenza yoruba per dimostrare che l’identità non è semplicisticamente descrivibile, ma è un concetto che nasce dal dialogo di molteplici fattori. Inoltre, la musica di Tommy fonde generi e tradizioni: dall’hip-hop americano all’afrobeat nigeriano, dalla trap italiana al conscious rap. Le sue influenze artistiche includono artisti africani diasporici come Fela Kuti (con cui è imparentato alla lontana) e rapper italiani come J-Ax e Fabri Fibra[1], ma il suo lavoro si distingue per un aspetto cruciale: la sua esplicita attenzione all’identità italiana nera. In “Afroitaliano”, affronta la realtà quotidiana degli stessi afroitaliani: “Questi che ne sanno di dossier in questura / delle mille facce della mia cultura / è la melanina ciò che li cattura”, e nel videoclip della canzone mostra neri impiegati in varie professioni comuni dimostrando che non sono rare eccezioni, ma parte integrante del tessuto della società italiana. Inoltre, i testi di Tommy sono dichiaratamente politici, ma mai predicatori: l’artista è in grado di utilizzare l’umorismo, la satira e l’ironia per esporre le contraddizioni della società italiana. In “#Afroitaliano”, scherza sull’essere nero in Italia: “Mi dai del negro, dell’immigrato / il tuo pensiero è un po’ limitato / il mondo è cambiato, non è complicato / Afroitaliano per te è un rompicapo”. Questi versi catturano l’assurdità dell’emarginazione razziale con un’arguzia pungente e rendono chiaro come nelle sue canzoni possano coesistere umorismo, satira, dolore e orgoglio, riflettendo l’esperienza stratificata dell’essere afro-italiano.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che Tommy Kuti è più di un semplice rapper, è un’artista a tutto tondo la cui voce grida per una generazione che è stata invisibile per troppo tempo. Il suo impatto va oltre i suoi testi: appare regolarmente sulla TV italiana, contribuisce a dibattiti pubblici e collabora con altri artisti di seconda generazione per portare avanti la conversazione su identità e rappresentazione. Nel 2018, Tommy è stato protagonista del documentario Rai Radici, che lo ha seguito mentre tornava in Nigeria per riconnettersi con le sue origini. Il documentario ha mostrato un lato dell’identità che i media italiani raramente esplorano: il viaggio personale ed emotivo di un individuo che sente di appartenere a due luoghi contemporaneamente. Tommy è stato anche attivo durante le proteste di Black Lives Matter in Italia, partecipando a manifestazioni pubbliche e denunciando il linguaggio razzista della politica e dei media.
L’estetica visiva di Tommy è politica quanto la sua musica. Spesso l’artista mescola stampe africane tradizionali con abbigliamento streetwear contemporaneo, simboleggiando la fusione culturale che lo definisce. I suoi videoclip sono pieni di volti diversi, ambientazioni urbane e simboli della vita moderna dei neri italiani, raffigurati non come esotici “altri”, ma come protagonisti della loro storia. Anche la lingua è centrale per l’identità dell’artista, che si muove fluidamente tra l’inglese e l’italiano, a volte nella stessa strofa. Questo multilinguismo riflette la realtà di molti giovani afroitaliani, la cui identità è plasmata sia dal retroterra culturale che dall’ambiente.
Si potrebbe riassumere il suo lavoro, insomma, come il tentativo di dare voce a una generazione che è stata italiana in tutto, tranne che nel riconoscimento: “Faccio musica per coloro che si sentono sempre chiamati a dimostrare la loro appartenenza”, questo è il cuore della sua missione e le sue canzoni sono la prova che l’identità non viene data dall’alto, ma si costruisce dalle fondamenta.
Guardando al futuro, Tommy Kuti continua a evolversi come artista. Collabora con personalità sia emergenti che affermate e usa la sua piattaforma per valorizzare le voci che rimangono emarginate nello spazio culturale italiano. Il suo ultimo EP, Community, è il progetto più maturo e personale dell’autore. Vero e proprio mosaico di sonorità afrobeat, rap e amapiano con influenze urban internazionali, in cui convivono uno storytelling crudo e contagiose good-vibes, l’album è una dichiarazione d’amore a tutte le comunità di cui ha fatto parte. Il messaggio rimane coerente: inclusione, orgoglio e verità.
Così, mentre l’Italia inizia lentamente a fare i conti con la sua diversità, Tommy Kuti è già lì: canta, parla, ride e lotta. Attraverso la sua musica, non si limita a riflettere una nuova Italia, ma contribuisce a crearla perché, come ha detto lui stesso: “Mi sento l’Africa cucita addosso come una camicia, ma la mia patria è dove c’è il cuore: in Italia”.
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[1] È grazie all’aiuto di Fabri Fibra e della sua manager Paola Zukar che Tommy riesce ad avvicinarsi alla Universal Studios company, con cui in seguito firmerà un contratto discografico.
SOURCES
Translated songs: