Azimut

Music & Lyrics by Alice (1982)

Sono l’angelo della casa io
spolvero, rammendo i calzini, cucino.
Le dolci farfalle cercano
i fiori più belli e li amano.
Ti aspetto alzata, se vuoi,
quando torni.

Leggo il giornale
di una data speciale
ecco il momento
che aspettavo da tanto.

Sono il diavolo della casa io
di una stella annullata l’Azimut
la pressione mi scende, che sarà,
forse il vento d’autunno che è già qua.
Esco solo un momento.

Una foglia mi sfiora una guancia
faccio finta di niente, capita,
cerco un’ombra che ombra non è; ma
nel voltarmi capisco che cos’è:
la mia casa non c’è.

Azimut

Translated by: Bridget Pupillo

I am the angel of the house
I dust, I mend socks, I cook.
The gentle butterflies seek
the most beautiful flowers and love them.
I’ll wait up for you, if you want,
when you come back.

I read the newspaper
from a special date
now is the moment
I’ve been waiting so long for.

I’m the devil of the house
The Azimuth of a dead star
my blood pressure goes down, what could it be,
perhaps the autumn wind that is already here.
I go out for just a moment.

A leaf caresses my cheek
I pretend as if it’s nothing,
I search for a shadow that doesn’t exist; but
when I turn around I understand what it is:
my house is not there.

Di Elena Porciani (Università della Campania “Luigi Vanvitelli”)

Azimut è l’album, uscito nell’autunno del 1982 dopo il successo estivo di Messaggio, che consacra Alice come interprete e autrice. Le nove tracce disegnano una soggettività dalle più varie sfumature, sia nelle scelte musicali che procedono dal cantautorato intimista all’urlato grintoso, quasi rock, sia nelle liriche che possono esprimere un io al contempo sofferente e diffidente, come in Una mano, ma anche un punto di vista divertito e non convenzionale, come in A cosa pensano.

La canzone che concentra tutte le diverse sfumature e prospettive è proprio Azimut, che mette in scena una prima persona che non corrisponde linearmente all’artista, bensì un personaggio narrante, uno di quelli che Elsa Morante avrebbe definito un alibi d’autore: un angelo del focolare capace di rovesciarsi nel suo doppio diabolico e, così, di rappresentare una visione del femminile che è potentemente sovversiva nel panorama della canzone italiana dei primi anni Ottanta.

Dopo i precedenti folk di cantautrici come Margot e Giovanna Marini, solo in questo periodo le donne stanno conquistandosi uno spazio anche nell’industria musicale pop che vada oltre l’interpretare brani scritti da uomini con la loro concezione variamente patriarcal- sentimentale dell’universo femminile, in cui, per intendersi, le fanciulle, piccole e fragili o calde e innocenti che fossero, in ogni caso sempre andava[no] a piedi nudi per la strada indossando quella maglietta fina tanto stretta al punto che s’indovinava tutto, tanto per parafrasare alcuni versi degli anni Settanta stampati nell’immaginario collettivo.

All’inizio del decennio successivo, al pari di Gianna Nannini e Rettore, Alice è una delle protagoniste di questo faticoso percorso di emancipazione espressiva pop-musicale, destinato a prendere sempre più vigore negli anni a venire, con figure come Cristina Donà e Carmen Consoli, ma anche con mature interpreti convertite alla scrittura come Loredana Bertè e Nada. Il percorso di Alice rispetto alle sue coetanee Nannini e Rettore è più intellettuale e caratterizzato da una scrittura in levare, che ben si confà al suo nome d’arte; le sue canzoni sono infatti specchi liquidi da attraversare per entrare in una wonderland di racconti elusivi e allusivi, avvicinati dalla potenza della voce, malinconica non meno che oscura.

Azimut ne è la perfetta dimostrazione: introdotta dall’arpeggio synth iniziale, la prima strofa delinea una soggettività amorosa e fedele , una ‘dolce farfalla’ che ha scelto il suo fiore e a lui è devota, tutta risolta nello spazio domestico dello spolverare, rammendare e cucinare. Ecco però la rottura improvvisa, che accade al momento di leggere un simbolico giornale che reca la data di un ‘giorno speciale’: un giorno che, in realtà, già covava ‘da tanto’ nella routine della cura angelica, inconfessato.

La terza strofa mette in campo, così, uno scenario del tutto mutato: l’io non è più l’angelo, ma il ‘diavolo della casa’, di una ‘stella annullata’ che non si capisce bene se, per mero equivoco o voluta metonimia, Alice identifica con l’azimut, che piuttosto sarebbe una coordinata astrale, a meno di non voler riferire ‘azimut’ a ‘sono’, cosicché l’io diventerebbe il punto di riferimento di un universo che appare enormemente più ampio della casa della ‘dolce farfalla’. Un tocco di realismo, non privo di una nuance umoristica, si riconosce poi nell’abbassamento di pressione, come un collasso della compiuta felicità domestica che si incontra con il richiamo del ‘vento d’autunno’, quasi un cifrato richiamo a Il vento caldo dell’estate, la hit che due anni prima ha sancito per Alice il raggiungimento del successo. Di nuovo appare il termine ‘momento’: a sancire un parallelismo con la strofa precedente che però è tale solo in apparenza, perché la lunga attesa si è invero risolta nell’uscire fuori dalla casa.

Con ciò siamo già nell’enigmatica quarta strofa, nella quale si misura tutto il talento elusivo di Alice. Il nuovo dettaglio realistico della foglia che sfiora la guancia suggerisce che ci troviamo in un giardino o in un bosco, in un luogo comunque frondoso e misterioso, ma aperto, altro rispetto alla precedente reclusione, sennonché l’io fa ‘finta di niente’: ancora, forse, non vuole prendere del tutto coscienza, ancora non vuole concedersi la fuga. Ma un’ombra le appare, impalpabile ed enigmatica, che solo voltandosi capisce che cosa sia: è l’ombra della sua casa svanita, la traccia evanescente del luogo della fedeltà amorosa e devota scomparso.

Nonostante l’ultimo verso possieda il tratto risolutivo del finale, non si assiste a un vero scioglimento della vicenda: l’angelo-diavolo contempla l’ombra di uno spazio domestico dissolto, ma si mantiene in un limbo più metafisico che circostanziato, in una perfetta tensione perturbante che finisce per insinuare la ‘casa che non c’è’ nell’iniziale spazio domestico.

Si capisce, quindi, che siamo anni di luce distanti dalle visioni del femminile care ai parolieri mainstream, popolate di ragazzine da svezzare o di femme fatale senza cuore e morale; piuttosto, è l’azimut di una nuova stagione di cantautorato femminile.