Francesco Guccini, Giuseppe Dati & Giuseppe Bigazzi, D'amore di morte e di altre sciocchezze, 1996.
Venite pure avanti, voi con il naso corto,
signori imbellettati, io più non vi sopporto,
infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio
perché con questa spada vi uccido quando voglio.
Venite pure avanti poeti sgangherati,
inutili cantanti di giorni sciagurati,
buffoni che campate di versi senza forza,
avrete soldi e gloria, ma non avete scorza!
Godetevi il successo, godete finché dura,
che il pubblico è ammaestrato e non vi fa paura,
e andate chissà dove per non pagar le tasse
col ghigno e l’ignoranza dei primi della classe.
Io sono solo un povero cadetto di Guascogna,
però non la sopporto la gente che non sogna.
Gli orpelli? L’arrivismo? All’amo non abbocco!
E al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!
Facciamola finita, venite tutti avanti
nuovi protagonisti, politici rampanti,
venite portaborse, ruffiani e mezze calze,
feroci conduttori di trasmissioni false!
Che avete spesso fatto del qualunquismo un’arte,
coraggio liberisti, buttate giù le carte,
tanto ci sarà sempre chi pagherà le spese
in questo benedetto, assurdo Bel Paese.
Non me ne frega niente se anch’io sono sbagliato,
spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato,
coi furbi e i prepotenti da sempre mi balocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!
Ma quando sono solo con questo naso al piede
che almeno di mezz’ora da sempre mi precede,
si spegne la mia rabbia e ricordo con dolore
che a me è quasi proibito il sogno di un amore…
Non so quante ne ho amate,
non so quante ne ho avute,
per colpa o per destino le donne le ho perdute!
E quando sento il peso d’essere sempre solo
mi chiudo in casa e scrivo e scrivendo mi consolo…
Ma dentro di me sento che il grande amore esiste,
amo senza peccato, amo, ma sono triste
perché Rossana è bella, siamo così diversi,
a parlarle non riesco,
le parlerò coi versi,
le parlerò coi versi…
Venite gente vuota, facciamola finita,
voi preti che vendete a tutti un’altra vita
se c’è, come voi dite, un Dio nell’infinito,
guardatevi nel cuore, l’avete già tradito!
E voi materialisti, col vostro chiodo fisso,
che Dio è morto e l’uomo è solo in questo abisso,
le verità cercate per terra, da maiali,
tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali!
Tornate a casa nani, levatevi davanti,
per la mia rabbia enorme mi servono giganti!
Ai dogmi e ai pregiudizi da sempre non abbocco
e al fin della licenza io non perdono e tocco,
io non perdono, non perdono e tocco!
Io tocco i miei nemici col naso e con la spada,
ma in questa vita oggi non trovo più la strada.
Non voglio rassegnarmi ad essere cattivo,
tu sola puoi salvarmi, tu sola e te lo scrivo…
Dev’esserci, lo sento, in terra o in cielo un posto
dove non soffriremo e tutto sarà giusto…
Non ridere, ti prego, di queste mie parole,
io sono solo un’ombra e tu, Rossana, il sole!
Ma tu, lo so, non ridi, dolcissima signora,
ed io non mi nascondo sotto la tua dimora
perché oramai lo sento, non ho sofferto invano,
se mi ami come sono,
per sempre tuo,
per sempre tuo,
per sempre, tuo Cirano…
Cyrano
Translated by:
Fabio Romerio
Come forward, all you made-up people
with your noses upturned, I can’t stand you anymore,
I will sink my pen deep inside your arrogance
because with this sword I can take you down whenever I want.
Come forward, all you rickety poets,
insignificant singers of wretched days,
you pathetic clowns making a living with your weak rhymes,
you may be rich and famous, but you’re so thin skinned.
Enjoy your success while it lasts,
the audience is wrapped around your finger and doesn’t scare you
you’d do anything to avoid paying your dues,
with that smirk and smugness like the teacher’s pet.
I am just a lowly cadet from Gascony,
but I just can’t stand those without aspirations.
Tinsel? Social climbing? I’m not falling for it
and then, as I end the refrain, thrust home without mercy,
no mercy, thrust home!
Enough already, come forward all of you
glitterati and career politicians,
come forward lackeys, kiss-asses, twits,
vicious anchors of worthless shows
masters of your indifference,
come forward, you libertarians quit your acting
there will always be someone to pay the price
in this messed-up, crazy, beautiful land.
I don’t care if you think I have faults too,
I like to be disliked and I love to be hated;
I toy with the devious and the bullies
and then, as I end the refrain, thrust home without mercy,
no mercy, thrust home!
But then when I am alone and exhausted
from carrying around a nose that’s always preceded me by a mile
my anger subsides and the painful thought reemerges
that the dream of love is beyond reach for me.
I can’t tell you how many women I have loved, how many loves I’ve had,
but through fault or destiny I lost all of them
and when I feel the weight of being alone all the time
I hide from the world and I write, and when I write I feel better.
But inside me I know that true love exists
I love chastely, I love, but I’m so sad
because Rossana is pretty, we are so different,
I can’t even talk to her, so I’ll talk to her with my verses.
Come forward all you soulless people, let’s end it;
you preachers selling the afterlife,
if God exists as you claim, a God in the infinite,
look into your souls, you’ve already failed him.
And you materialists with your obsession
that there is no God and that we’re alone in this endless abyss,
you look for the truth down on the ground, like pigs,
just keep your acorns, and I’ll keep my wings.
Shoo! you shallow people, out of my way
only those with a deep soul can subdue my anger.
I repudiate indoctrination and prejudice
and then, as I end the refrain, without mercy thrust home,
no mercy, thrust home!
I lunge at my enemies with my nose and with my sword,
but sometimes I feel lost in today’s life.
I don’t want to give in to my anger,
you’re the only one who can save me,
you alone, and I am writing to you:
I know there has to be a place in heaven or on earth
where we won’t suffer and we can be happy.
Please, don’t laugh at these words,
I am just a shadow, and you, Rossana, are the light,
but I know that you won’t laugh, sweetest lady, and I will finally come out of my shadow and into your light
because I finally realize that my pain has not been in vain
if you love me as I am, forever yours, forever yours, forever yours, Cyrano
Nato a Modena nel 1940, Francesco Guccini è uno dei cantautori italiani più conosciuti. La sua carriera abbraccia circa 50 anni, durante i quali ha registrato 16 album originali e si è esibito in innumerevoli concerti. Sebbene non si esibisca più, la sua voce caratteristica e le celebri ballate lo rendono uno dei cantanti folk più iconici della sua generazione. Nel 2001, Guccini si è trasferito da Bologna a Pàvana, il suo villaggio ancestrale sugli Appennini, dove, tra il 2011 e il 2012, ha trasferito i suoi musicisti e un intero studio di registrazione per incidere il suo ultimo album (Ultima Thule) e girare un documentario su questo sforzo (La mia Thule). Nello stesso anno, sempre a Pàvana, annunciò che non avrebbe più fatto concerti e album, e si ritirò dalla scena musicale.
La vita va avanti e l’imponente cantautore concentra ora la sua ispirazione artistica sulla scrittura di romanzi gialli (con Loriano Macchiavelli) e raccolte autobiografiche. Prima di ritirarsi dalle scene aveva già scritto un’importante trilogia autobiografica: Cròniche epafàniche (1991), Vacca d’un cane (1993) e Cittanòva blues (2003). In questi libri, usa un idioletto che colloca la lingua italiana nel contesto di diversi paesaggi sonori dialettali, a seconda di dove sono ambientati i libri. Cròniche epafàniche, dedicata alla sua infanzia in Appennino, ha conquistato i lettori per la facilità narrativa e il forte immaginario, determinato dalle sue originali scelte linguistiche. Ad esempio, in un brano dedicato al suo passatempo d’infanzia, la pesca nel torrente locale, scrive:
è più facile prenderli, i pesci, con le mani, quando il gorello dello sfioratore del botàccio va in secca, e nelle pozétte qualche pesce rimane: una volta, quando c’era più pesci, usavano anche le nasse di stroppe che ora sono rinsecchite e inerti nel Maganzino. (17)
L’importanza di Guccini come cantautore nella storia della musica italiana non può essere sopravvalutata. Le sue ballate mescolano etica e poetica, satira e indignazione, passato e presente.
Anche chi non ha familiarità con il suo vasto corpus di opere si è imbattuto in alcune delle prime canzoni di Guccini, come “Dio è morto” (Folk Beat n. 1, 1967), ispirato nel titolo a Così parlò Zarathustra di Nietzsche e nel testi di “Howl” di Allen Ginsberg:
Ho visto la gente della mia età andare via lungo le strade che non portano mai a niente cercare il sogno che conduce alla pazzia alla ricerca di qualcosa che non si trovano
Un’altra delle sue famose ballate è “Auschwitz”, nota anche come “La canzone del bambino nel vento”, scritta dopo aver letto un libro autobiografico di Vincenzo Pappalettera intitolato Tu passerai per il camino:
Son morto che ero bambino sono morto con altri cento. Passato per il camino e adesso sono nel vento.
Guccini è l’autore de “L’Avvelenata” (Via Paolo Fabbri, 43, pubblicato nel 1976) uno dei brani più scurrili della storia della musica cantautorale italiana. Costituisce un potente atto di indignazione, costellato di parolacce. Se all’inizio sembrava scandaloso, in seguito è diventato un simbolo dell’intensità delle proteste personali che hanno caratterizzato gli anni ’70.
Guccini ha sempre affermato di essere più anarchico che comunista. “La locomotiva” (Radici, 1972), con cui concludeva tutti i concerti, è una delle sue canzoni distintive. Si tratta di una lunga ballata anarchica su un ingegnere ferroviario, Pietro Rigosi, che, alla fine dell’Ottocento, cercò di scagliare una locomotiva contro un treno passeggeri, per protestare contro le difficili condizioni di vita dell’epoca.
Nel suo canzoniere Francesco Guccini invia un forte messaggio etico, poetico, politicamente impegnato e spesso satirico. Per tutti questi motivi, Dario Fo una volta lo chiamò “la voce del movimento”. Le influenze sulla sua musica e sui suoi testi sono Jacques Brel e Georges Brassens, Bob Dylan e Paul Simon, così come Édit Piaf.
Per quanto riguarda la sua iconografia, era famoso per esibirsi con una bottiglia di vino sotto la sedia. “Al rosso saggio chiedi i tuoi perché”, scrive in “Un altro giorno è andato” (Un altro giorno è andato / Il bello, 1968). Nelle sue liriche il vino è compagno di molte notti; il “saggio rosso” che menziona in quella canzone è infatti una metafora del vino rosso.
Francesco Guccini è probabilmente l’unico cantautore che ha fatto del proprio indirizzo privato il titolo di un suo album. Via Paolo Fabbri, 43, a Bologna, è diventato un pellegrinaggio necessario per chi ammira la produzione poetica e musicale del cantautore.
La sua poesia è ispirata dalla sua vasta conoscenza letteraria, che traspare in innumerevoli riferimenti, da Carlo Collodi ad Alessandro Manzoni, da Jack Kerouac a John Dos Passos, da Guido Gozzano a Carl Barks. La profondità e il valore letterario del suo corpus di opere gli sono valsi un gran numero di riconoscimenti, tra cui, nel 1992, il prestigioso Premio Librex-Guggenheim Eugenio Montale per la sezione “versi in musica”.
Gozzano in particolare è stato molto influente per i testi più intimi di Guccini. L’autore, infatti, è debitore al crepuscolarismo sia nelle sue atmosfere che nelle scelte stilistiche. Ad esempio, la famosa canzone “Incontro”, (Radici, 1972) che descrive una cena, dopo tanti anni, con una compagna di liceo, Guccini menziona che le posate avevano il colore della nostalgia (stoviglie color nostalgia). Si può sentire, in questa canzone romantica e nostalgica, un riferimento alla lunga poesia di Gozzano “Signorina Felicita”, (I colloqui, 1911) in particolare un riferimento agli occhi di Felicita, descritti da Gozzano come posate-blu (“azzurri di un azzurro di stoviglia”). Il prestito più evidente da Guido Gozzano è, tuttavia, l’adattamento di Guccini di “La più bella”, una poesia che Guccini ha musicato con il titolo “L’isola non trovata“.
In una recente intervista (per il talk show di Diego Bianchi, Propaganda live) Guccini lamenta la scomparsa di chi popolava le “sue” montagne, e quindi l’annacquamento di quella particolare cultura, e delle sue stesse radici. La ricerca delle proprie radici è uno dei temi principali del suo canzoniere, in particolare nel suo album del 1972, Radici. La canzone che ha dedicato a suo zio Amerigo, emigrato negli Stati Uniti e tornato a Pàvana solo da vecchio, esemplifica la sua attenzione per la storia della sua famiglia.
Il tema di Pàvana come locus amoenus dove vengono risolte molte delle contraddizioni della vita è uno dei temi più duraturi dei suoi testi. Il suo ultimo album, Ultima Thule (2012), registrato all’interno del mulino che appartiene alla sua famiglia da diverse generazioni, è pieno di ricordi d’infanzia, incluso il suono della ruota del mulino che continuava a macinare giorno e notte quando era bambino.
Un altro tema importante nelle produzioni di Guccini è il tempo. Nella canzone che presta il titolo al suo ultimo album, “Ultima Thule”, si lamenta del passare del tempo, che ha posto fine alle scappatelle di predoni con i suoi più cari amici musicisti:
Io che tornavo fiero ad ogni porto dopo una lotta, dopo un arrembaggio, non son più quello e non ho più il coraggio di veleggiare su un vascello morto.
Dov’è la ciurma che mi accompagnava e assecondava ogni ribalderia? Dove la forza che ci circondava? Ora si è spenta ormai, sparita via.
(“Ultima Thule”, Ultima Thule, 2012)
Non dovremmo preoccuparci di questa malinconica ultima canzone. Il buen retiro di Guccini in Appennino è meta di appassionati e studiosi. Non sembra nemmeno preoccuparsi delle frequenti interruzioni o del suo status leggendario tra i suoi ammiratori. Nella speranza di incontrarlo un giorno a Pàvana, attendiamo con ansia il suo prossimo romanzo giallo.
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