Di Corrado Confalonieri (Wesleyan University).
Tra le gif di #postcardsfromisola, il progetto lanciato dalle due designers milanesi Lorenza Negri e Simona Pinto che racconta le storie e i personaggi del quartiere Isola di Milano, ce n’è una in cui si vede un uomo in bicicletta. Elegante, esile e dalle gambe lunghe, questa figura è indicata anonimamente come “Il musicista”, ma è facile riconoscervi Francesco Bianconi, cantante e autore dei testi dei Baustelle. Giacca scura e bicicletta retrò, il profilo corrisponde bene all’immagine di “Un romantico a Milano”, secondo il titolo di uno dei brani di maggiore successo della band: dedicato allo scrittore Luciano Bianciardi, toscano di Grosseto che andò a vivere a Milano negli anni Cinquanta, il testo gioca ironicamente con alcune allusioni che si adattano in realtà allo stesso Bianconi (“Quando canta le canzoni della Mala”, che possono essere sì le canzoni ideate da Giorgio Strehler e cantata da Ornella Vanoni proprio a fine anni Cinquanta, ma anche quelle de La malavita, l’album in cui è contenuta Un romantico a Milano, “scola centomila Montenegro e Bloody Mary / Mocassini gialli e sentimenti chiaroscuri”), a sua volta toscano di Montepulciano, in provincia di Siena, ma da anni trasferitosi a Milano. Sempre a Milano si è trasferita qualche anno dopo Bianconi anche Rachele Bastreghi, voce femminile e polistrumentista della band, mentre a Montepulciano è rimasto e rimane ancora oggi il chitarrista Claudio Brasini: sono loro i tre membri dei Baustelle, gruppo formatosi nella seconda metà degli anni Novanta proprio a Montepulciano e diventato famoso per il pop ricercato, con testi ricchi di riferimenti letterari.
“Un romantico a Milano” era stato uno dei singoli estratti dal terzo album del gruppo, La malavita (2005), il primo a uscire con una major (la Warner, da allora casa discografica della band) e a dare più vasta notorietà ai Baustelle. Memorabile era l’attacco del primo brano diffuso per radio, “La guerra è finita”, ben rappresentativo di un aspetto ricorrente della poetica di Bianconi e del gruppo, che unisce melodie pop a testi cupi con protagonisti spesso giovani o giovanissimi (in questo caso si parla del suicidio di una ragazza di sedici anni):
“Vivere non è possibile.”
Lasciò un biglietto inutile
prima di respirare il gas
prima di collegarsi al gas
era mia amica, era una stronza
aveva sedici anni appena
Già prima della Malavita i Baustelle avevano comunque ricevuto molta attenzione dalla critica e si erano conquistati un certo pubblico con due album rimasti relativamente di nicchia, ma all’interno dei quali si trovavano brani che sarebbero stati apprezzati da chi li aveva ascoltati al momento dell’uscita e riscoperti più tardi anche da chi allora non li conosceva: è il caso di canzoni come “Le vacanze dell’ottantatré” (ricordo della scoperta del sesso, “Come sei finito a Rimini con le signore in bikini? / Le radioline cantano la pubertà”), “Martina” (anche questa storia di un’adolescente: “Incontri per solitudine, / mascara denso per nudità. / Piccole catastrofi / per minuti intimi, / tutto ciò significa / scavare in profondità”) e “Gomma” (duetto che racconta una storia d’amore tra liceali mettendo l’accento sui loro disagi e le loro pose: “Ed il futuro stava fuori / dalla new wave da liceale, / così speravo di ammalarmi o per lo meno che s’infettassero i bar”) in Sussidiario illustrato della giovinezza, disco d’esordio nel 2000 poi ripubblicato dalla Warner nel 2010, e del brano “Arriva lo ye-yè” dall’album La moda del lento del 2003, una storia di amori estivi, insieme stereotipati e intriganti, tra italiani e ragazze straniere, soprattutto danesi e svedesi:
Paga tu il conto, amore,
per favore.
Portami in un albergo
per due ore.
Profuma di Stoccolma
la schiena tua spogliata,
amami una volta nella vita.
[…]
Brancolo
nell’agosto torrido,
questo film ridicolo
quando finirà?
Ancora oggi il più grande successo dei Baustelle in termini di vendite resta il secondo disco pubblicato con la Warner, Amen (2008), noto per Charlie fa surf, il singolo di lancio, ispirato a un’opera del celebre artista Maurizio Cattelan, Charlie Don’t Surf (1997) e di nuovo rivolto a un adolescente:
Vorrei morire a questa età,
vorrei star fermo mentre il mondo va,
ho quindici anni.
In questa canzone e in altre dell’album – per esempio, nel brano Il liberismo ha i giorni contati, che racconta dal punto di vista di una ragazza da poco laureata la delusione dell’impegno politico e gli effetti della società dei consumi sulle relazioni (“Vede la fine in me che spendo / soldi e tempo in un Nintendo / dentro un bar della stazione / e da anni non la chiamo più”) – si esprime perfettamente la combinazione tra temi complessi, testi raffinati, melodie cantabili e arrangiamenti pop-rock con cui la band si è fatta conoscere fin dall’inizio della carriera. Con Amen i Baustelle ottengono la Targa Tenco nella categoria “Miglior album dell’anno”, tra i più prestigiosi riconoscimenti nell’ambito della musica italiana, mentre nel frattempo Bianconi si afferma anche come autore per altri artisti – in particolare artiste –, firmando brani di grande successo (su tutti “Bruci la città”, cantata da Irene Grandi nel 2007).
Un anno dopo Amen i Baustelle compongono la colonna sonora del film Giulia non esce la sera di Giuseppe Piccioni, mentre nel 2010 esce l’album I mistici dell’Occidente, di cui a dieci anni dalla pubblicazione il brano più noto rimane probabilmente “Le rane”, già dedicato al tema del tempo:
L’ultima volta ti ho visto cambiato,
bevevi un amaro al bancone del bar.
Perché il tempo ci sfugge
ma il segno del tempo rimane.
Il brano sarebbe stato al centro di Fantasma (2013), il disco più ambizioso di sempre per il gruppo sia per la composizione dei testi – organizzati intorno un unico tema, appunto, secondo il modello del ‘concept album’ – sia per l’arrangiamento orchestrale. I membri stessi della band hanno riconosciuto l’importanza e anche il peso di questo sforzo presentando gli album successivi – in realtà due volumi dello stesso disco, L’amore e la violenza (2017) e L’amore e la violenza, Vol. 2 (2018) – come un parziale disimpegno rispetto a Fantasma e un ritorno alla forma pop, cosa che in ogni caso non esclude la cura per i suoni (con una preferenza per gli strumenti analogici rispetto a quelli digitali, per esempio) e la solita raffinatezza dei testi. Di questi ultimi lavori si ricordano soprattutto canzoni come “Amanda Lear”, “Betty” e “Veronica n. 2”, storie di amori finiti senza troppi rimpianti (“Amanda Lear / Il tempo di un LP, / il lato A, il lato B, / che niente dura per sempre, / finisce ed è meglio così”), di amori sbagliati, malati (“Betty è bravissima a giocare / con l’amore e la violenza, / si fa prendere e lasciare, / che cos’è la vita senza / una dose di qualcosa, / una dipendenza?”) ma comunque qualche volta felici:
Ma adesso c’è Veronica,
tempo di Veronica,
giorni di Veronica,
solo per Veronica,
vedi la vita diversa con Veronica,
credi che il vuoto di colpo sia bellissimo,
neghi che tutto sia vano e tutto inutile,
chiedi un mondo migliore per Veronica,
uccidi per poterla salvare, baby, baby come on.
Oltre all’attività come gruppo, i membri della band si sono dedicati nel tempo a vari altri progetti, non soltanto musicali. La prima a esordire come solista era stata Rachele Bastreghi con l’EP Marie del 2015, mentre il disco solista di Francesco Bianconi sarebbe dovuto uscire nella primavera del 2020, ma è stato rinviato a causa dell’emergenza coronavirus: a oggi se ne conoscono il titolo (Forever) e due brani, diffusi come singoli (“Il bene” e “L’abisso”). Lo stesso Bianconi, infine, è stato anche autore di due romanzi, Il regno animale (2011) e La resurrezione della carne (2015).
Baustelle, “Il futuro”(2013). Di Corrado Confalonieri (Wesleyan University)
In Youth, di Paolo Sorrentino (2015) c’è una scena in cui Mick Boyle, l’anziano regista interpretato da Harvey Keitel, fa una gita in montagna in compagnia dei giovani sceneggiatori impegnati ad assisterlo nella scrittura di Life’s Last Day, il suo ultimo film, quello che dovrà essere il suo testamento cinematografico. Lungo il sentiero il gruppo incrocia una famiglia che scende a valle: Mick si ferma per un attimo a guardare il bambino di due o tre anni portato sulle spalle dal papà, poi, una volta in vetta, chiama accanto a sé una sua allieva e la invita a guardare in lontananza con il cannocchiale da osservazione: “La vedi quella montagna di fronte?”, le chiede. “Sì, sembra vicinissima”, risponde lei. “Esatto. Questo è quello che si vede da giovani. Si vede tutto vicinissimo: quello è il futuro. E adesso”, continua Mick mentre inverte la posizione dello strumento e chiede alla giovane di guardare i compagni a pochi passi da lei attraverso il cannocchiale rovesciato, “questo è quello che si vede da vecchi. Si vede tutto lontanissimo: quello è il passato”.
La percezione del tempo cambia a seconda delle età della vita, un principio che la scena di Youth rappresenta nei suoi estremi temporali (i giovani sceneggiatori, il vecchio regista) e meta-rappresenta in termini spaziali (le montagne sullo sfondo, il gruppo di persone vicine al punto di osservazione). Che cosa succede invece quando si riflette sullo stesso tema non all’inizio o alla fine della vita, ma – come si può dire con Dante – a metà del cammino? Il futuro dei Baustelle parla proprio di questo, e cioè del passare del tempo nel momento in cui ci si accorge che il futuro a cui si guardava da giovani è ormai qui: arrivandoci, però, si scopre che il futuro è molto diverso da come lo si vedeva allora – “il futuro non è più quello di una volta”, secondo un verso famoso – e che ora l’investimento emotivo si è spostato su ciò che si è perduto, sul passato ormai lontano e, appunto, “piccolo” (“il passato adesso è piccolo, / ma so ricordarmelo”, si sente verso la fine del brano).
La citazione di Dante non è gratuita. In molte delle interviste che hanno accompagnato l’uscita del disco in cui è compreso il pezzo Il futuro – l’album, il sesto in studio dei Baustelle, si chiama Fantasma ed è uscito nel 2013 – il cantante e autore dei testi Francesco Bianconi ha spiegato come per la prima volta in carriera il gruppo avesse deciso di scrivere un ‘concept album’, scegliendo quindi un tema intorno al quale comporre tutte le canzoni. Il tema sarebbe stato il tempo, già trattato in alcuni altri brani della band – nella canzone “Le rane,” per esempio, tra i singoli dell’album precedente, I mistici dell’Occidente (2010), e un po’ in tutto il disco d’esordio, il Sussidiario illustrato della giovinezza (2000) –, ma a quel punto più attuale per il fatto di cadere, come ha ricordato spesso Bianconi, “nel mezzo del cammin di nostra vita”, quando i tre membri dei Baustelle (formati, oltre che da Bianconi, dalla cantante e polistrumentista Rachele Bastreghi e dal chitarrista Claudio Brasini) avevano tutti tra i trentacinque e i quarant’anni.
Le prospettive da cui si guarda al tempo all’interno di Fantasma sono molte. Seguendo l’ordine dei brani, c’è la differenza d’età tra due amanti in “Nessuno” (“Arrivi e dici dolcemente / che vecchio stupido che sei / ed accarezzi con la mente / le rughe che ti regalai”), canzone che contiene anche numerosi riferimenti politici all’Italia berlusconiana e post-berlusconiana; c’è l’attimo dell’amore felice che vince sulla morte in “La morte (non esiste più)” (“Poi improvvisamente arrivi tu, sorridi e penso che / non ho più timore, lascio correre / il dolore non c’è più / e niente muore”); c’è il contrasto tra le scene immobili degli ambienti ricostruiti nel Museo civico di storia naturale di Milano e lo scorrere del tempo in “Diorama” (“Nel diorama il tempo non ci può far male, / non c’è prima non c’è poi / Solo il culmine di vite singolari, / l’illusione che non marciranno mai”, uno dei brani più complessi del disco, ispirato a una poesia di Antonio Riccardi, “Maschio alpha”); c’è la poesia sepolcrale di “Monumentale”, il cimitero di Milano, un luogo che si consiglia di visitare per interrompere la routine e trovare una vita più autentica
C’è il ritrovarsi a distanza di tempo di due ex amanti in “Cristina” (“Come stai? / Che vita fai? / Chiede Cristina / Cos’è che sogni adesso?”); ci sono le riflessioni sui diversi tempi della natura e della cultura in “Maya colpisce ancora”, ne “La natura” e ne “L’estinzione della razza umana” (“Non votiamo gli uomini, non li votiamo più / Tornerà la terra follemente bella / dopo l’estinzione della razza umana”); ci sono i ricordi e le ossessioni di un uomo che ha ucciso la sua ragazza in “Conta’ l’inverni”, brano in romanesco su un tema poi molto discusso in Italia, quello del femminicidio (“Ed esiste solo lei / pure adesso che sto qua / a conta’ l’inverni ar gabbio”, cioè in prigione); c’è infine l’invito a superare l’orizzonte quotidiano senza però trascenderlo in una dimensione mistica in “Radioattività” :
Tra tutti questi brani, “Il futuro” è quello che più chiaramente si riferisce al tempo fin dal titolo. La canzone inizia con un verso che individua in maniera nitida il luogo e il tema: “Sul raccordo anulare, i ragazzi di ieri”. Siamo a Roma – il raccordo anulare è il GRA, il Grande Raccordo Anulare, la tangenziale di Roma nota negli ultimi anni anche per il film documentario di Gianfranco Rosi, Sacro GRA (2013) – e si parla di un gruppo di persone che fanno i conti col tempo, come continua la prima strofa:
Subito dopo il testo passa alla prima persona – non sappiamo se a parlare sia uno dei “ragazzi di ieri” o se sia stata l’osservazione su quei ragazzi a suggerire all’uomo di prendere la parola – e prosegue con i riferimenti alla vita di tutti i giorni già evocata attraverso l’azione del fare la spesa: “Ho sorriso a mio figlio all’uscita di scuola, / ho guardato la casa che una volta abitai”. Due persone, un padre e un figlio, e due luoghi quotidiani e insieme potenzialmente simbolici come la casa e la scuola, ma soprattutto due tempi, indicati dal passato prossimo (“ho sorriso”, “ho guardato”) e dal passato remoto (“abitai”). Sono il tempo di oggi e quello di ieri, i due momenti che avviano la riflessione dei versi successivi:
Con questi versi si passa alla seconda persona, come se il padre che aveva sorriso al figlio e rivisto la casa di un tempo si rivolgesse a sé stesso ma insieme volesse rendere universali le proprie considerazioni con l’uso del ‘tu’ generico. Valore universale ha infatti il ritornello, diviso tra un attacco dal tono gnomico (“Il futuro desertifica la vita ipotetica”) e una sezione più lunga cantata alla prima persona plurale che chiarisce il significato delle immagini di vita quotidiana dei versi iniziali e fissa il tema che verrà poi ulteriormente sviluppato nella seconda parte del brano, anche quella tutta al ‘noi’ (“Qui la vista era magnifica, da oggi significa / che ciò siamo stati non saremo più”).
Il testo non lo dice esplicitamente, ma l’uso del deittico “qui” e l’accenno alla “vista” consentono di immaginare una scena simile a quella di Youth. Il modo di riflettere sul passare del tempo cambia col passare del tempo, così come cambiare il punto di osservazione – ai piedi di una montagna o in vetta – modifica ciò che si vede: “qui la vista era magnifica” lascia intendere che, una volta raggiunto, il punto a cui si guardava da giovani (“allora”, in termini temporali soltanto sottintesi) non è più lo stesso “ora”, e dunque ciò che un tempo era “là”, adesso che ci si è arrivati (“qui”, dice infatti il testo), non significa più quello che significava ma vuol dire altra cosa, vuol dire che “ciò che siamo stati non saremo più”. La strada non è finita – dopotutto siamo al “mezzo del cammin di nostra vita”, non alla conclusione – ma la parte ancora da percorrere, vista dal mezzo del cammino, si è modificata: il futuro ha perso molto del suo valore di “vita ipotetica” ed è diventato innanzitutto il tempo di un passato che non ritornerà.
La seconda parte del brano sposta l’attenzione dall’oggetto percepito (la vita futura) al soggetto della percezione, chiarendo come la contrazione delle possibilità sia dovuta non alla semplice mancanza di cose nuove – ce ne saranno, anzi – ma al diverso atteggiamento con cui queste novità saranno vissute. È possibile che anche da oggi in poi il futuro porti amore (“E potremo anche avere altre donne da amare”) e amicizia (“e magari tornare a sbronzarci sul serio / nella stessa taverna di vent’anni fa”), ma a cambiare saremo ‘noi’ (dopo il primo ritornello, come detto, il brano prosegue alla prima persona plurale). Certo, le cose che la vita ha in serbo per un adulto che invecchia non sono quelle che un giovane immaginava quando pensava al futuro in termini di possibilità da realizzare (la serata nella taverna di anni prima è minacciata dalla “storia di un amico entrato in chemioterapia”, l’amore dalla “potenza di un addio” che si sa definitivo); eppure siamo, saremo soprattutto noi a non essere gli stessi: se anche “la vita che verrà / ci risorprenderà”, infatti, “saremo noi a essere più stanchi”, come si sente dire nel verso che prelude al secondo ritornello.
Quest’ultimo verso, come il precedente “in autunno foglie e rami se li porta il vento” che lancia il primo ritornello, è cantato dalla voce femminile del gruppo, Rachele Bastreghi, che qualche volta canta interi pezzi (“Monumentale”, “La natura” e “Radioattività” nell’album Fantasma) e altre volte duetta con Bianconi o esegue i cori. Uno scrittore siciliano coetaneo di Bianconi e ammiratore della band, Mario Fillioley, ha detto con tono scherzoso che nei duetti i Baustelle si dividono i compiti in modo che Bianconi “ti sfinisce” e Rachele “ti finisce”, intendendo che proprio alla voce femminile di Rachele è affidato il ruolo di cantare i versi più memorabili, quelli che racchiudono il sentimento della canzone: questo è vero per “Il futuro”, dove Rachele canta soltanto due versi – “in autunno foglie e rami se li porta il vento” e “ma saremo noi a essere più stanchi” – entrambi però molto importanti sia per la posizione metrica, prima dei due ritornelli, sia per il significato, l’uno che contiene la sola immagine non direttamente collegata alle scene urbane dell’inizio o alle considerazioni filosofiche che ne derivano, e l’altro che sancisce la differenza tra il futuro da giovani e il futuro da adulti.
Il secondo ritornello mantiene la struttura e alcune parole del primo, ma con le poche variazioni approfondisce l’idea che il futuro, ora, non sia più il tempo delle possibilità: “Il futuro cementifica” – cioè rende più rigida, non modificabile – “la vita possibile”. Torna poi il riferimento alla veduta (“qui la vista…”), ma cambia il modo di qualificarla:
dove il contrasto tra “incredibile” e “probabile” segnala il passaggio da un futuro che non si può prevedere a uno che può essere oggetto di calcolo (di probabilità, appunto), non più tempo di sogni ma di programmi.
A questo secondo ritornello ne segue subito un terzo che, riproponendo la stessa melodia, conclude la canzone. Stavolta non si parla del futuro ma del passato, cosa che da una parte certifica la contrazione delle possibilità nella vita di chi dice ‘io’ – nel finale si riprende la prima persona singolare – ma dall’altra consente un parziale riscatto grazie a un ricordo felice:
Dopo il “raccordo anulare” dell’inizio torna in primo piano l’ambientazione romana: il Pigneto è un quartiere famoso negli ultimi anni per essere diventato una specie di Brooklyn (e più precisamente di Williamsburg) di Roma. Il nome “Pigneto” esisteva già, ma è piuttosto recente l’invenzione di un luogo con un’identità definita di zona hipster. A questa particolare caratteristica allude Bianconi – che è toscano, di Montepulciano (Siena), ma vive da anni in uno dei più celebri quartieri hipster di Milano, Isola – citando il nome del quartiere.
La vita di oggi sul raccordo anulare, tra la spesa e la cura dei figli, è lontanissima da quella che gli amici immaginavano di fare anni fa, quando passeggiavano per il Pigneto. Più che al futuro si guarda ora al passato, ma proprio il toponimo – unito alle parole finali, “vite fa” – può suggerire un’interpretazione più complessa: se il Pigneto è diventato il Pigneto come lo si conosce adesso da poco tempo, perché si dice “vite fa”? Il motivo potrebbe essere la nuova posizione nel mondo, da giovane in giro con gli amici a genitore alle prese con le abitudini quotidiane; ma potrebbe anche trattarsi dell’anticipazione di un momento futuro, più avanti nel tempo, in cui chi parla si ricorderà ancora degli anni lontani – il Pigneto non era ancora il Pigneto, se l’espressione “vite fa” è intesa alla lettera rispetto all’oggi del 2013 –, di quel passato sempre più piccolo.