Il futuro

Parole e musica di Francesco Bianconi

Sul raccordo anulare
i ragazzi di ieri
hanno vecchi fucili
e una fotografia.

Hanno fatto la spesa
ed i conti col tempo,
ma la loro ballata
finisce a metà.

Ho sorriso a mio figlio
all’uscita di scuola,
ho guardato la casa
che una volta abitai.

Perché quando te ne vai
è davvero come se
capissi per la prima volta
l’uomo che sarai.

Perché tutto quel che hai,
prima o poi lo perderai:
in autunno foglie e rami se li porta il vento.

Il futuro desertifica
la vita ipotetica.
Qui la vista era magnifica,
da oggi significa
che ciò che siamo stati non saremo più.

E potremo anche avere
altre donne da amare,
e sconfiggere l’ansia
e la fragilità.

E magari tornare
a sbronzarci sul serio
nella stessa taverna
di vent’anni fa.

Ma diversa arriverà
la potenza di un addio
o la storia di un amico
entrato in chemioterapia.

E la vita che verrà
ci risorprenderà,
ma saremo noi ad essere più stanchi.

Il futuro cementifica
la vita possibile.
Qui la vista era incredibile,
da oggi è probabile
che ciò che siamo stati non saremo più.

Il passato adesso è piccolo
ma so ricordarmelo:
Io, Gianluca, Rocco e Nicholas,
felici nel traffico
di un marciapiede del Pigneto vite fa.

The Future

Translated by: Bridget Pupillo

On the raccordo anulare,
yesterday’s kids
have old rifles
and a photograph.

They went shopping
and settled their accounts with time,
but their ballad
ends half-way through.

I smiled at my son
at the doors of the school,
I looked at the house
where I had once lived.

Because when you go
it really is as if
you understood for the first time
the man you’ll become.

Because everything you have
sooner or later you’ll lose it
(in autumn the wind carries leaves and branches)

The future depopulates
the hypothetical life.
Here the view was magnificent,
from today forward it means
that what we were we will no longer be.

And we will also have
other women to love
and win over anxiety
and fragility.

And maybe we’ll go back
and get seriously plastered
in the same tavern
from twenty years ago.

But it will come differently
the power of a goodbye
or the story of a friend
going for chemotherapy.

The life that’s coming
will take us by surprise once again
(it will be us who will be more tired).

The future concretizes
the possible life.
Here the view was incredible,
from today forward it’s probable
that what we were we will no longer be.

The past is small now
but I can still remember:
Gianluca, Rocco, Nicholas, and I
happy in the crowd
on the sidewalk in the Pigneto years ago

Baustelle, “Il futuro”(2013). Di Corrado Confalonieri (Wesleyan University)

In Youth, di Paolo Sorrentino (2015) c’è una scena in cui Mick Boyle, l’anziano regista interpretato da Harvey Keitel, fa una gita in montagna in compagnia dei giovani sceneggiatori impegnati ad assisterlo nella scrittura di Life’s Last Day, il suo ultimo film, quello che dovrà essere il suo testamento cinematografico. Lungo il sentiero il gruppo incrocia una famiglia che scende a valle: Mick si ferma per un attimo a guardare il bambino di due o tre anni portato sulle spalle dal papà, poi, una volta in vetta, chiama accanto a sé una sua allieva e la invita a guardare in lontananza con il cannocchiale da osservazione: “La vedi quella montagna di fronte?”, le chiede. “Sì, sembra vicinissima”, risponde lei. “Esatto. Questo è quello che si vede da giovani. Si vede tutto vicinissimo: quello è il futuro. E adesso”, continua Mick mentre inverte la posizione dello strumento e chiede alla giovane di guardare i compagni a pochi passi da lei attraverso il cannocchiale rovesciato, “questo è quello che si vede da vecchi. Si vede tutto lontanissimo: quello è il passato”.

La percezione del tempo cambia a seconda delle età della vita, un principio che la scena di Youth rappresenta nei suoi estremi temporali (i giovani sceneggiatori, il vecchio regista) e meta-rappresenta in termini spaziali (le montagne sullo sfondo, il gruppo di persone vicine al punto di osservazione). Che cosa succede invece quando si riflette sullo stesso tema non all’inizio o alla fine della vita, ma – come si può dire con Dante – a metà del cammino? Il futuro dei Baustelle parla proprio di questo, e cioè del passare del tempo nel momento in cui ci si accorge che il futuro a cui si guardava da giovani è ormai qui: arrivandoci, però, si scopre che il futuro è molto diverso da come lo si vedeva allora – “il futuro non è più quello di una volta”, secondo un verso famoso – e che ora l’investimento emotivo si è spostato su ciò che si è perduto, sul passato ormai lontano e, appunto, “piccolo” (“il passato adesso è piccolo, / ma so ricordarmelo”, si sente verso la fine del brano).

La citazione di Dante non è gratuita. In molte delle interviste che hanno accompagnato l’uscita del disco in cui è compreso il pezzo Il futuro ­– l’album, il sesto in studio dei Baustelle, si chiama Fantasma ed è uscito nel 2013 – il cantante e autore dei testi Francesco Bianconi ha spiegato come per la prima volta in carriera il gruppo avesse deciso di scrivere un ‘concept album’, scegliendo quindi un tema intorno al quale comporre tutte le canzoni. Il tema sarebbe stato il tempo, già trattato in alcuni altri brani della band – nella canzone “Le rane,” per esempio, tra i singoli dell’album precedente, I mistici dell’Occidente (2010), e un po’ in tutto il disco d’esordio, il Sussidiario illustrato della giovinezza (2000) –, ma a quel punto più attuale per il fatto di cadere, come ha ricordato spesso Bianconi, “nel mezzo del cammin di nostra vita”, quando i tre membri dei Baustelle (formati, oltre che da Bianconi, dalla cantante e polistrumentista Rachele Bastreghi e dal chitarrista Claudio Brasini) avevano tutti tra i trentacinque e i quarant’anni.

Le prospettive da cui si guarda al tempo all’interno di Fantasma sono molte. Seguendo l’ordine dei brani, c’è la differenza d’età tra due amanti in “Nessuno” (“Arrivi e dici dolcemente / che vecchio stupido che sei / ed accarezzi con la mente / le rughe che ti regalai”), canzone che contiene anche numerosi riferimenti politici all’Italia berlusconiana e post-berlusconiana; c’è l’attimo dell’amore felice che vince sulla morte in “La morte (non esiste più)” (“Poi improvvisamente arrivi tu, sorridi e penso che / non ho più timore, lascio correre / il dolore non c’è più / e niente muore”); c’è il contrasto tra le scene immobili degli ambienti ricostruiti nel Museo civico di storia naturale di Milano e lo scorrere del tempo in “Diorama” (“Nel diorama il tempo non ci può far male, / non c’è prima non c’è poi / Solo il culmine di vite singolari, / l’illusione che non marciranno mai”, uno dei brani più complessi del disco, ispirato a una poesia di Antonio Riccardi, “Maschio alpha”); c’è la poesia sepolcrale di “Monumentale”, il cimitero di Milano, un luogo che si consiglia di visitare per interrompere la routine e trovare una vita più autentica

Quindi lascia perdere i programmi coi talenti, i palinsesti,
per piacere non andare a navigare sulla rete,
stringi forte chi ti vuole bene tra le tombe del Monumentale.

C’è il ritrovarsi a distanza di tempo di due ex amanti in “Cristina” (“Come stai? / Che vita fai? / Chiede Cristina / Cos’è che sogni adesso?”); ci sono le riflessioni sui diversi tempi della natura e della cultura in “Maya colpisce ancora”, ne “La natura” e ne “L’estinzione della razza umana” (“Non votiamo gli uomini, non li votiamo più / Tornerà la terra follemente bella / dopo l’estinzione della razza umana”); ci sono i ricordi e le ossessioni di un uomo che ha ucciso la sua ragazza in “Conta’ l’inverni”, brano in romanesco su un tema poi molto discusso in Italia, quello del femminicidio (“Ed esiste solo lei / pure adesso che sto qua / a conta’ l’inverni ar gabbio”, cioè in prigione); c’è infine l’invito a superare l’orizzonte quotidiano senza però trascenderlo in una dimensione mistica in “Radioattività” :

Bisogna avere fede, esplorare
ogni spazio siderale,
abolire l’aldilà.
Così ti stringo forte, grido amore,
cerco il bene nell’orrore
e l’eterno nell’età.

Tra tutti questi brani, “Il futuro” è quello che più chiaramente si riferisce al tempo fin dal titolo. La canzone inizia con un verso che individua in maniera nitida il luogo e il tema: “Sul raccordo anulare, i ragazzi di ieri”. Siamo a Roma – il raccordo anulare è il GRA, il Grande Raccordo Anulare, la tangenziale di Roma nota negli ultimi anni anche per il film documentario di Gianfranco Rosi, Sacro GRA (2013) – e si parla di un gruppo di persone che fanno i conti col tempo, come continua la prima strofa:

Sul raccordo anulare, i ragazzi di ieri
hanno vecchi fucili e una fotografia.
Hanno fatto la spesa ed i conti col tempo,
ma la loro ballata finisce a metà.

Subito dopo il testo passa alla prima persona – non sappiamo se a parlare sia uno dei “ragazzi di ieri” o se sia stata l’osservazione su quei ragazzi a suggerire all’uomo di prendere la parola – e prosegue con i riferimenti alla vita di tutti i giorni già evocata attraverso l’azione del fare la spesa: “Ho sorriso a mio figlio all’uscita di scuola, / ho guardato la casa che una volta abitai”. Due persone, un padre e un figlio, e due luoghi quotidiani e insieme potenzialmente simbolici come la casa e la scuola, ma soprattutto due tempi, indicati dal passato prossimo (“ho sorriso”, “ho guardato”) e dal passato remoto (“abitai”). Sono il tempo di oggi e quello di ieri, i due momenti che avviano la riflessione dei versi successivi:

Perché quando te ne vai
è davvero come se
capissi per la prima volta l’uomo che sarai
Perché tutto ciò che hai / prima o poi lo perderai
in autunno foglie e rami se li porta il vento.

Con questi versi si passa alla seconda persona, come se il padre che aveva sorriso al figlio e rivisto la casa di un tempo si rivolgesse a sé stesso ma insieme volesse rendere universali le proprie considerazioni con l’uso del ‘tu’ generico. Valore universale ha infatti il ritornello, diviso tra un attacco dal tono gnomico (“Il futuro desertifica la vita ipotetica”) e una sezione più lunga cantata alla prima persona plurale che chiarisce il significato delle immagini di vita quotidiana dei versi iniziali e fissa il tema che verrà poi ulteriormente sviluppato nella seconda parte del brano, anche quella tutta al ‘noi’ (“Qui la vista era magnifica, da oggi significa / che ciò siamo stati non saremo più”).

Il testo non lo dice esplicitamente, ma l’uso del deittico “qui” e l’accenno alla “vista” consentono di immaginare una scena simile a quella di Youth. Il modo di riflettere sul passare del tempo cambia col passare del tempo, così come cambiare il punto di osservazione – ai piedi di una montagna o in vetta – modifica ciò che si vede: “qui la vista era magnifica” lascia intendere che, una volta raggiunto, il punto a cui si guardava da giovani (“allora”, in termini temporali soltanto sottintesi) non è più lo stesso “ora”, e dunque ciò che un tempo era “là”, adesso che ci si è arrivati (“qui”, dice infatti il testo), non significa più quello che significava ma vuol dire altra cosa, vuol dire che “ciò che siamo stati non saremo più”. La strada non è finita – dopotutto siamo al “mezzo del cammin di nostra vita”, non alla conclusione – ma la parte ancora da percorrere, vista dal mezzo del cammino, si è modificata: il futuro ha perso molto del suo valore di “vita ipotetica” ed è diventato innanzitutto il tempo di un passato che non ritornerà.

La seconda parte del brano sposta l’attenzione dall’oggetto percepito (la vita futura) al soggetto della percezione, chiarendo come la contrazione delle possibilità sia dovuta non alla semplice mancanza di cose nuove – ce ne saranno, anzi – ma al diverso atteggiamento con cui queste novità saranno vissute. È possibile che anche da oggi in poi il futuro porti amore (“E potremo anche avere altre donne da amare”) e amicizia (“e magari tornare a sbronzarci sul serio / nella stessa taverna di vent’anni fa”), ma a cambiare saremo ‘noi’ (dopo il primo ritornello, come detto, il brano prosegue alla prima persona plurale). Certo, le cose che la vita ha in serbo per un adulto che invecchia non sono quelle che un giovane immaginava quando pensava al futuro in termini di possibilità da realizzare (la serata nella taverna di anni prima è minacciata dalla “storia di un amico entrato in chemioterapia”, l’amore dalla “potenza di un addio” che si sa definitivo); eppure siamo, saremo soprattutto noi a non essere gli stessi: se anche “la vita che verrà / ci risorprenderà”, infatti, “saremo noi a essere più stanchi”, come si sente dire nel verso che prelude al secondo ritornello.

Quest’ultimo verso, come il precedente “in autunno foglie e rami se li porta il vento” che lancia il primo ritornello, è cantato dalla voce femminile del gruppo, Rachele Bastreghi, che qualche volta canta interi pezzi (“Monumentale”, “La natura” e “Radioattività” nell’album Fantasma) e altre volte duetta con Bianconi o esegue i cori. Uno scrittore siciliano coetaneo di Bianconi e ammiratore della band, Mario Fillioley, ha detto con tono scherzoso che nei duetti i Baustelle si dividono i compiti in modo che Bianconi “ti sfinisce” e Rachele “ti finisce”, intendendo che proprio alla voce femminile di Rachele è affidato il ruolo di cantare i versi più memorabili, quelli che racchiudono il sentimento della canzone: questo è vero per “Il futuro”, dove Rachele canta soltanto due versi – “in autunno foglie e rami se li porta il vento” e “ma saremo noi a essere più stanchi” – entrambi però molto importanti sia per la posizione metrica, prima dei due ritornelli, sia per il significato, l’uno che contiene la sola immagine non direttamente collegata alle scene urbane dell’inizio o alle considerazioni filosofiche che ne derivano, e l’altro che sancisce la differenza tra il futuro da giovani e il futuro da adulti.

Il secondo ritornello mantiene la struttura e alcune parole del primo, ma con le poche variazioni approfondisce l’idea che il futuro, ora, non sia più il tempo delle possibilità: “Il futuro cementifica” – cioè rende più rigida, non modificabile – “la vita possibile”. Torna poi il riferimento alla veduta (“qui la vista…”), ma cambia il modo di qualificarla:

Qui la vista era incredibile
da oggi è probabile
che ciò che siamo stati non saremo più

dove il contrasto tra “incredibile” e “probabile” segnala il passaggio da un futuro che non si può prevedere a uno che può essere oggetto di calcolo (di probabilità, appunto), non più tempo di sogni ma di programmi.

A questo secondo ritornello ne segue subito un terzo che, riproponendo la stessa melodia, conclude la canzone. Stavolta non si parla del futuro ma del passato, cosa che da una parte certifica la contrazione delle possibilità nella vita di chi dice ‘io’ – nel finale si riprende la prima persona singolare – ma dall’altra consente un parziale riscatto grazie a un ricordo felice:

Il passato adesso è piccolo
ma so ricordarmelo:
io, Gianluca, Rocco e Nicholas
felici nel traffico
di un marciapiedi del Pigneto vite fa.

Dopo il “raccordo anulare” dell’inizio torna in primo piano l’ambientazione romana: il Pigneto è un quartiere famoso negli ultimi anni per essere diventato una specie di Brooklyn (e più precisamente di Williamsburg) di Roma. Il nome “Pigneto” esisteva già, ma è piuttosto recente l’invenzione di un luogo con un’identità definita di zona hipster. A questa particolare caratteristica allude Bianconi – che è toscano, di Montepulciano (Siena), ma vive da anni in uno dei più celebri quartieri hipster di Milano, Isola – citando il nome del quartiere.

La vita di oggi sul raccordo anulare, tra la spesa e la cura dei figli, è lontanissima da quella che gli amici immaginavano di fare anni fa, quando passeggiavano per il Pigneto. Più che al futuro si guarda ora al passato, ma proprio il toponimo – unito alle parole finali, “vite fa” – può suggerire un’interpretazione più complessa: se il Pigneto è diventato il Pigneto come lo si conosce adesso da poco tempo, perché si dice “vite fa”? Il motivo potrebbe essere la nuova posizione nel mondo, da giovane in giro con gli amici a genitore alle prese con le abitudini quotidiane; ma potrebbe anche trattarsi dell’anticipazione di un momento futuro, più avanti nel tempo, in cui chi parla si ricorderà ancora degli anni lontani – il Pigneto non era ancora il Pigneto, se l’espressione “vite fa” è intesa alla lettera rispetto all’oggi del 2013 –, di quel passato sempre più piccolo.