Asmara, 1937 – Peschiera Borromeo, 2006
(Di Marianna Orsi, University of Hawaii)
Bruno Lauzi nasce ad Asmara nel 1937, figlio di Francesco e Laura Nahum, che nascose sempre le sue origini ebraiche per sfuggire alle leggi razziali. Il giovane Bruno cresce a Genova, città d’origine del padre, liberale e antifascista, da cui eredita gli ideali di tolleranza e liberalismo. Qui è compagno di scuola di scuola di Gino Paoli e Luigi Tenco, con cui condivide la passione per il jazz, e con il quale intorno al 1953, fa parte della “Jelly Roll Morton Boys Jazz Band” e scrive i primi pezzi. Come De André apprezza anche i cantautori francesi. Nel 1956 si trasferisce a Varese e lavora per un giornale, L’Altolombardo, con Piero Chiara di cui diventa amico. Appassionato di poesia e letteratura, avido lettore, si iscrive però alla facoltà di Giurisprudenza a Milano, lasciando a pochi esami dalla laurea per dedicarsi completamente alla musica. Si diploma poi in lingua inglese alla Scuola Interpreti e Traduttori di Milano. Non avendo la patente (che non prenderà mai) si sposta in treno, circondato da studenti e operai. Sono gli anni dell’immigrazione di massa dal meridione, alla quale si ispira per comporre “La donna del sud”. Nel 1963 esce “Ritornerai”, in cui la voce cantante predice (o minaccia?) con una punta di amarezza che la donna che lo ha lasciato ritornerà. La canzone sarà resa famosa da Vittorio Gassman ne Il sorpasso. A Milano Lauzi si avvicina agli artisti della “Scuola milanese” come Enzo Jannacci, lavora nel noto locale di cabaret “Derby”.
Nel 1965 la sua unica partecipazione a Sanremo con “Il tuo amore”, un valzer ispirato agli chansonnier francesi, lontano dai gusti del pubblico e che infatti non raggiunge la finale. Nello stesso anno esce il suo primo disco, Lauzi al cabaret, con una presentazione di Piero Chiara. Contiene testi fortemente ispirati allo scrittore, come “Vecchio paese”, che descrive un quieto villaggio di provincia con “quattro case e un solo caffè”, “le vecchiette che van sempre in chiesa tra l’una e le tre”, “il buon farmacista che fu socialista ai tempi del re, il povero matto che parla un po’ a scatti e spiega perché”. Un paesino in cui il gioco delle carte, tra grida e imprecazioni, è l’unica attività. La stessa atmosfera in cui vive “Il poeta”.
Il disco contiene però anche pezzi di tono molto diverso. Ne “I cargo”, un disilluso narratore, osservando le grandi navi che partono ogni sera “per portare lontano speranze d’emigrante”, lungi dal sognare un esotico altrove, le vede come “treni del mare che portano il bestiame a farsi macellare in lontani paesi ancora più scortesi di quello che hai lasciato”. “Il casermone”, infine, di impronta noir (tendenza comune nella Scuola genovese, come “La ballata dell’amore cieco”, 1966) descrive un femminicidio, probabilmente ispirato da un fatto di cronaca (come “La canzone di Marinella”).
Quando Tenco si suicida a Sanremo, nel 1967, Lauzi resta terribilmente scosso e riuscirà a parlare del tragico episodio solo molti anni dopo, criticando le celebrazioni retoriche, compresa “Preghiera in gennaio” di De André, e smentendo l’ipotesi che la sua “Il poeta” descrivesse Tenco.
Nel 1968 Lauzi sposa Giovanna Coprani che gli sarà compagna e collaboratrice fino alla fine della sua vita con la quale aprirà un’azienda agricola e produrrà vino barbera.
Alla fine degli anni sessanta inizia l’amicizia con Lucio Battisti e con essa una lunga e fruttuosa collaborazione; Lauzi infatti interpreta, portandole alla vetta delle classifiche, “E penso a te”, “L’aquila”, “Amore caro, amore bello”. Si aggiudica diversi premi, collabora con artisti in ternazionali come Vinicius De Moraes, Toquinho, Petula Clark, Dionne Warwick, Tony Bennett. Tra le in numerevoli collaborazioni italiane si ricordano “Angeli”, incisa con Lucio Dalla e “Naviganti”, con Ivano Fossati; “Piccolo uomo” e “Almeno tu nell’universo”, scritte per Mia Martini. Negli anni Novanta fonda una casa editrice, Pincopallo; in seguito, pubblica i volumi di poesie, I mari interni (Crocetti, 1994) e Riapprodi (Rangoni, 1996), poi riuniti in Versi facili (Edizioni Marittime, 1999), seguiti da Esercizi di sguardo (Edizioni marittime, 2002) e da Agli immobili cieli, pubblicato postumo (Edizioni Associazione “Il dorso della balena”, 2010), la raccolta Limericks, resta invece inedita. Lauzi è anche autore di testi in prosa: Della quieta follia… dei piemontesi (Club di Papillon, 1997), Il caso del pompelmo levigato (Bompiani, 2005), Le storie di nonno Bruno (Coccole e caccole, 2006) e dell’autobiografia Tanto domani mi sveglio. Autobiografia in controcanto, uscita postuma (Gammarò, 2006).
All’inizio degli anni 2000 al cantautore viene diagnosticato il morbo di Parkinson, non rinuncia però agli impegni dal vivo e alla produzione letteraria. Colpito da un cancro al fegato, Lauzi muore nel 2006.
Artista controcorrente, appassionato di letteratura e politica, tifoso della Sampdoria, grande cercatore di funghi, non risparmiò giudizi severi ai colleghi cantautori. “Paoli? Un cane, stonato, ululante, con i suoi “motivetti sepolcrali”, De André? ‘Preghiera di gennaio’, retorica, ‘Il pescatore’ “anarchismo omertoso”). “Polemico, dispettoso, un terribile bastian contrario”, si definirà, un artista “invendibile”, che sfugge all’omologazione ma che ha di certo lasciato un segno.
Bibliografia:
IL POETA (di Marianna Orsi, University of Hawaii)
“Fernanda Pivano definisce Bob Dylan “una specie di Omero del ventesimo secolo”, De André il miglior poeta che abbiamo avuto e i cantautori “poeti di oggi” (Pivano I miei amici cantautori, Mondadori, 2005). Furono gli stessi poeti a riconoscere il legame fra la loro opera e la nascente canzone d’autore. Salvatore Quasimodo autorizzò Domenico Modugno a mettere in musica due sue poesie […]. Pier Paolo Pasolini autorizzò Sergio Endrigo a utilizzare versi tratti da La meglio gioventù […] e collaborò con Modugno […]. Anche alcuni dei cantautori di prima generazione avvertirono lo stesso legame riconoscendo nel poeta una figura affine. Così, ad esempio, la canzone “Il poeta”, scritta da Bruno Lauzi nel 1963, considerata il manifesto della nascente “Scuola genovese” e definita dallo stesso autore la sua canzone preferita e quella che influenzò tutta la sua produzione successiva. Il poeta dei versi di Lauzi fa parte della stessa comunità alla quale appartiene l’io narrante, una società di amici che giocano a carte al bar e vanno a ballare in provincia parlando di donne e motori.
Questo poeta è figura affine, forse addirittura avvertita dal protagonista come suo alter ego. Nessuna parodia del poeta vate (che si trova invece in [“I poeti”] di Roberto Vecchioni e [“I poeti” di] Pierangelo Bertoli), nessun sarcasmo, nonostante l’apparente ironia delle rime volutamente prosaiche e anti-liriche donne e motori – gioie e dolori, campione – scopone. Musica e interpretazione esprimono tutta la malinconia della figura, oltre alle evidenti influenze dei paesaggi di Piero Chiara [si vedano, per esempio, le atmosfere, i personaggi e i passatempi descritti nel romanzo di Il piatto piange], con il quale Lauzi collaborava proprio nel periodo di composizione […]. La morte del poeta e la sua condizione di emarginato (“Ed infine una notte si uccise / Per la gran confusione mentale / Fu un peccato perché era speciale / Proprio come parlava di te”) richiamano l’idea della perdita del ruolo sociale del poeta nel mondo moderno, condizione già avvertita ai tempi di Gozzano e dei Crepuscolari, ed espressa anche da altri poeti contemporanei. Tali immagini amplificano il senso di smarrimento che sfocia in una totale perdita di valore della figura umana del poeta della cui morte a nessuno importa (“Ora dicono, fosse un poeta / che sapesse parlare d’amore / Cosa importa se in fondo uno muore / E non può più parlare di te”)”
Da Marianna Orsi, “Non so se sono stato mai un poeta e non mi importa niente di saperlo”. Cantautori e poeti secondo i cantautori, in AA. VV. Musica pop e testi in Italia dal 1960 a oggi, a cura di A. Ciccarelli, M. Migliozzi, M. Orsi, Ravenna, Longo, 2015, pp. 131-151.