Notte di note, note di notte
di luna che imbroglia i cani
vagabondi invisibili nelle vie che sanno tutto e ci cammino.
A tempo col rumore della terra che gira
e i fornai che fanno il pane di domani
secchi d’acqua che svegliano i balconi
cotti di sole del mattino.
in questa notte di ragnatele
di fili notturni sul mio viso
l’alito largo del vento mi segue
annusando i pantaloni.
E quante dita stanno acchiappando note
che cadono giù dal paradiso
e le giornate si chiudono
dietro le serrature dei portoni.
Buona notte ai piccoli dolori
buona notte a tutti i suonatori
buona notte a queste nubi d’inchiostro
buona notte a questo figlio nostro.
Qui in questa curva di cielo
ed ogni odore è un ricordo
che torna a bruciapelo.
E porta via la sete i giorni sbagliati
per una notte di pace
nei cuori affaticati.
Notte di note, note di notte
tesa come pelle di tamburo
fari che bucan la pazienza dell’aria
cercando di capirmi gli occhi.
In questo stesso istante tra la California e il Giappone
c’è chi inventerà il futuro
per tutti gli uomini che passano
sui fogli del mondo come scarabocchi.
In questa notte di stelle distratte
sorprese da un’alba che confonde
muri vecchi che respirano
un giovane cielo rattoppato
E un risveglio salato di mare
sui pontili deserti che scavalcano le onde
come qualcosa di rauco
che ti chiedi cos’è mentre ti è già passato.
Buona notte ad ogni nota d’argento
buona notte a un sollievo di vento
buona notte a questo silenzio d’oro
buona notte buona notte tesoro
Qui in questa via di nessuno
mi sto frugando parole
per far sognar qualcuno.
Quando verrà dal cielo o dove si trova
una speranza di luce
una canzone nuova?
Qui in questa notte di note
a guardarmi la vita
dentro le mani vuote.
Ma che cos’è mai che mi fa credere ancora
mi riga gli occhi d’amore
e mi addormenterà dalla parte del cuore?
Night of Notes, Notes by Night
Translated by:
Francesco Ciabattoni
Night of notes, notes at night
of a moon that deceives dogs
invisible vagrants in all-knowing streets, and that’s where I walk.
Following the tempo of the Earth’s spin
and bakers bake tomorrow’s bread
water buckets wake up balconies
cooked dry in the morning sun.
In this night of spider webs,
of nocturnal threads on my face
the wide breath of wind is following me
sniffing at my pants.
And so many fingers are grasping for notes.
falling down from heaven
and days are being locked up
behind the deadbolts of the gates.
Good night to all the small pains
good night to all the musicians
good night to these ink-black clouds
good night to this child of ours.
Here in this fold of the sky
every scent turns into a memory
hitting me at point blank.
And it takes away the thirst and the wrong days
allowing a night of peace
in all the fatigued hearts.
Night of notes, notes at night
as tense as a drum skin
headlights piercing the patience of the air.
try to understand my eyes.
In this very instant between California and Japan
someone is going to invent the future
of all the people who pass
on the papers of the world like scribble.
in this night of distracted stars
taken aback by a startling dawn
old walls breathe in
a young patched-up sky.
And a sea-salty awakening
on deserted docks that ride over waves
like something raucous
you ask yourself what it is and it’s already vanished.
Good night to every silvery note
good night to a breath of wind
good night to this golden silence
good night to you, sweetheart.
Here, in this no-man’s street
I’m scrambling for words
that will make people dream.
When will it come from heaven or wherever it may be
a hope of light
a new song?
Here, in this night of notes
I’m looking at my life
in my empty hands.
What is it that still makes me believe
wets my eyes with love
and will lull me to sleep on my heart’s side?
(da F. Ciabattoni, La citazione è sintomo d’amore, Carocci, 2016)
Le allusioni non producono l’effetto voluto se non su un lettore che si ricordi chiaramente del testo cui si riferiscono.
(Giorgio Pasquali, 1951, p. 11)
La citation est la forme originelle de toutes les pratiques du papier, le découper-coller, et c’est un jeu d’enfant
(Antoine Compagnon, 1979, p. 27)
Si può dire che il tipo di scrittura à collage che Claudio Baglioni ha impiegato soprattutto per i testi de La vita è adesso (1985) rappresenti l’epitome della tecnica di innesto testuale già vista in altri cantautori come Francesco De Gregori e Fabrizio De André. Il cantautore di Centocelle non era nuovo a certe pratiche di riutilizzo dei materiali letterari: nel 1972 aveva riecheggiato Jacques Prévert con “Amore bello” (Baglioni, 1973) («Cet amour / Beau comme le jour» che genera «Amore bello come il giorno»), poi nel 1974 aveva messo in musica una poesia di Trilussa (“La ninna nanna de la guerra” che perde la specificazione nella canzone “Ninna nanna”), nel 1975 aveva emulato il Gozzano de “L’amica di Nonna Speranza” in “Carillon” e nel 1977 Evtušenko (“Sono Gagarin il figlio della terra”, da cui la canzone intitolata “Gagarin” nell’album Solo). Ma —con l’eccezione di “Gagarin” che instaura un rapporto intertestuale complesso—queste canzoni, che denunciavano nel titolo il debito con la fonte letteraria, non facevano molto di più che citare un elemento riconoscibile della poesia o metterne in musica il testo tradotto senza significative alterazioni. Un primo segnale del cambiamento della strategia intertestuale di Baglioni si ravvisa in “Fotografie”(in Strada facendo, Baglioni, 1981) in cui il cantautore innesta due frammenti di “La casada infiel”di Federico García Lorca (1928), ma la tecnica citatoria di Baglioni si raffina ne La vita è adesso (1985), in cui il grado di rielaborazione formale dei frammenti letterari è assai maggiore e la riconoscibilità dei testi origine minore (ma non per questo invisibile). Il materiale testuale innestato si mescola così naturalmente al testo della canzone da produrre un risultato originale che ingloba e comprende in sé i testi d’origine senza mostrare linee di sutura. Come illustra Compagnon (1979, pp.84-86), l’assenza di virgolette o di un segno testuale che indichi lo stacco fra il testo di partenza e quello di arrivo (nel caso delle canzoni il segno può essere il credito sulla copertina del disco) denota e cambia il senso del frammento originale. Così, Elsa Morante, Gabriel García Márquez, Mario Luzi e, soprattutto, Pier Paolo Pasolini trasmettono ognuno qualche campione di tessuto letterario che poi rivascolarizza e si fonde armonicamente nelle canzoni del cantautore, ma i frammenti testuali così utilizzati acquistano un senso diverso.
Pasolini non era romano. Almeno non fino al 1950. Poi lo è diventato, assorbendo e rielaborando lingua, ambienti e stile capitolini, facendo, insomma, quando si è a Roma, come fanno i romani. Non stupirà, quindi, che uno fra i più romani tra i cantautori si sia ispirato principalmente a un autore il cui accento rimase sempre settentrionale. Baglioni aveva già fatto delle icone più famose della capitale lo sfondo urbano per il suo primo LP di successo, Questo piccolo grande amore (Baglioni, 1972), nel quale il pop si mescola al folk degli stornelli romani. L’album, di cui sono molto conosciuti solo pochi brani, andrebbe ascoltato nella sua interezza per coglierne lo spirito e il significato autentici, troppo spesso e troppo velocemente liquidati come disengagé, come ha notato di recente Cathy Ann Elias (2015).
Baglioni scrisse i testi del suo album La vita è adesso (1985) insieme alla moglie Paola Massari, attuando un complesso pastiche di testi, in cui il costante riferimento al Pasolini di Ragazzi di vita (Pasolini, 1955), Una vita violenta (Pasolini, 1959)e Le ceneri di Gramsci (Pasolini, 1957) guida e informa la scrittura delle dieci canzoni, che si propongono come una rilettura ed una risposta alla visione pasoliniana del mondo delle borgate romane, una mescolanza in linea con il meccanismo letterario messo in evidenza da Compagnon. Una recente dichiarazione del cantautore conferma che il lettore di Pasolini è però lui (o perlomeno anche lui). Nell’articolo-intervista di Angelo Carotenuto si leggono infatti alcuni fra gli autori preferiti del cantautore:
Negli anni Ottanta, per scrivere Strada facendo, mi preparai con i testi della Beat Generation. Prima d’allora avevo vissuto una fase d’innamoramento per Pasolini. Il Pasolini poeta di Monteverde, dico. Ero attratto dal post neorealismo, dai racconti delle periferie, dalle opere d’arte partorite fra il ’55 e il ’60, quelle prima del boom, prima di Capri e Palma de Maiorca. E poi il richiamo dei poeti francesi, il fascino di Ezra Pound e Eliot, che ho riletto in lingua originale perché la poesia vive anche delle suggestioni del significante.
(Carotenuto, 2012, p.44)
Nella stessa intervista, Carotenuto segnala anche il debito, ricordato sopra, nei confronti di La casada infiel di Federico García Lorca i cui versi «un horizonte de perros ladra muy lejos del río» e «sucia de besos y arena» passano quasi inalterati in “Fotografie”(Baglioni, 1981) dando vita a «un orizzonte di cani che abbaia lontano» e «sporca di baci e sabbia».
Ma se i due prelievi da Lorca appaiono un caso isolato in Strada facendo, i prelievi testuali da Pier Paolo Pasolini, Elsa Morante, Mario Luzi e Gabriel García Márquez ne La vita è adesso (1985), sono così cospicui e omogenei da assumere un significato che trapela dal tessuto testuale e informa di sé tutte le canzoni del concept album. L’album di Baglioni ne risulta così un’opera sincretica che sceglie la letteratura come lente per rappresentare gli ambienti popolari in cui l’autore è nato e cresciuto. Attraverso questa arte allusiva il cantautore, nato in una borgata — come ci ricorda il brano di apertura di Strada facendo (1981): «’51 Montesacro / e tutto cominciava» — ritrae la propria città mutuando tessere testuali dalle opere più visceralmente romane di Pasolini e Elsa Morante. Il linguaggio icastico, addirittura filmico, tipico di Baglioni, si articola in sovraesposizione sulle immagini della capitale tratte da Ragazzi di vita, Le ceneri di Gramsci, Una vita violenta e La storia.La copertina interna dell’album, con la sua vista panoramica della città eterna, presenta per immagini ciò che le canzoni raccontano per musica e parole. Il risultato di questa mescolanza letteraria è che per comprendere appieno La vita è adesso è necessario riconoscere le allusioni e i riferimenti alle opere degli scrittori.
Nel ritratto del proletariato degli anni ’50, dei giovani borgatari del Pigneto e dintorni che vivono alla giornata, sprecando la vita come se ne avessero una riserva infinita, Pasolini immette la medesima energia primordiale, bucolica ma violenta, che alimentava le Poesie a Casarsa. Gli “Uomini persi” dell’omonima canzone di Baglioni sono «cristi caduti giù senza nomi e senza croci», come i due scialacquatori adolescenti di Donna Olimpia nella Religione del mio tempo, «poveri allegri cristi quattordicenni» che «possono buttare il loro giorno» (Pasolini, 1993, p. 499).
Nei ragazzi pasoliniani, fanciulli sulla soglia dell’età adulta, o in bilico tra la pubertà e l’adolescenza, risalta la tensione dell’autore verso un’era di mitica purezza ed incoscienza, che tuttavia irrimediabilmente si perde. Questo passaggio da una idealizzata ingenuità pre-capitalista alla corruzione nella quale i ragazzi perdono la loro innocenza e talvolta la vita è il filo conduttore che si sottende a Ragazzi di vita, e con toni ancora più cupamente drammatici a Una vita violenta, entrambi canti funebri della civiltà contadina che arrende al capitalismo gli «emblemi della verginità primordiale e della purezza dei sogni, di ogni lindore e di ogni verità» (Panzeri, 1988, p. 61). Alcuni versi della Religione del mio tempo esemplificano esemplarmente questo travagliato passaggio:
Mattine di pura vita! Quando sorde sono le anime a ogni richiamo che non sia quello del dolce disordine del male e del bene quotidiano…. Essi lo vivono abbandonati da tutti, liberi in quel loro umano fervore a cui sono leggermente nati perché poveri, perché figli di poveri, nel loro destino di rassegnati eppure sempre pronti alle nuove avventure del sogno, che scendendo dall’alto del mondo, li muove, ingenui, e a cui essi corrotti si vendono, benché nessuno li paghi: stracciati ed eleganti al modo stupendo dei romani, se ne vanno tra gli agiati quartieri della gente per cui è vero il sogno…
(Pasolini, 2003, I, pp. 971-72.)
Il processo di crescita come perdizione dei personaggi pasoliniani ha luogo nel sofferto contesto storico-sociale della mutazione antropologica della società italiana tra gli anni ’50 e gli anni ’60. Ne consegue la lacerazione, a causa dell’avanzata edilizia, del legame tra individuo e paesaggio, che il geografo Denis Cosgrove ha definito come «un prodotto sociale e culturale, […] un modo di vedere restrittivo che diminuisce i modi alternativi di esperimentare le nostre relazioni con la natura» (Cosgrove, 1990, p. 246) trasforma la campagna, cui i giovani per estrazione sociale apparterrebbero, in un non-luogo (Augé, 1996). Ciò che Pasolini denuncia è la scomparsa della cultura rurale e dei suoi valori, che si mischiano e si corrompono nel caos e nella logica capitalistica della grande città. Pasolini coagula la forza polemica della sua poesia attorno ad elementi minimali, quotidiani: le dinamiche sociali sono rappresentate ora in un benzinaio abruzzese trasferitosi a Roma ora nei figli degli emigrati dal profondo sud, che abitano le borgate in costruzione, piene di fango e cemento, e già le poesie in friulano della Meglio gioventù adombrano indizi di questo processo di perdita dell’innocenza e di scomparsa della dimensione di bucolica purezza (Barański, 1999, p. 256; Siti in Pasolini, 1998, p. cxviii). I protagonisti di Pasolini abitano nei quartieri popolari di Monteverde, Donna Olimpia, Tiburtino, Tor degli Schiavi: «ragazzi di vita» la cui dimensione esistenziale è antitetica alla realtà di chi vive nei quartieri agiati, «per cui è vero il sogno». Ne emerge un rapporto dialettico, un’opposizione tra sogno e vita originata da un trauma sociale — il passaggio dal mondo dei miti alla società borghese e capitalistica — in cui si rispecchia il trauma culturale vissuto da Pasolini nell’incontro con la capitale (Barański 1999, pp. 253-54).
È questo il punto su cui si innesta il ventaglio di allusioni impiegate da Baglioni nel rappresentare lo stesso ambiente di sottoproletariato urbano, da cui egli stesso proviene: nato a Roma nel quartiere di Montesacro nel 1951, Baglioni ha sin dall’inizio della sua carriera celebrato icone della topografia capitolina in canzoni come “Con tutto l’amore che posso”, che descrive lungoteveri al tramonto, “Piazza del popolo”, “Porta Portese” (Baglioni, 1972), ma la topografia romana di Baglioni si estende a includere angoli meno glamour come quelli di “Casa in costruzione” (Gira che ti rigira, Baglioni, 1973) e “’51 Montesacro”(Strada facendo, Baglioni, 1981) ed è proprio in questa dimensione urbana di periferia che il cantautore inserisce, ne La vita è adesso, prelievi testuali da diversi scrittori, soprattutto Pasolini e Morante, che delle periferie in costruzione del dopoguerra hanno fatto il proprio setting letterario. Un primo commento andrà fatto sul titolo completo dell’album: La vita è adesso, il sogno è sempre, che sembra da un lato voler mantenere l’attrazione idealistica del sogno come centro gravitazionale, ma invitare, al contempo, verso il polo opposto, la vita, che in Pasolini (nei romanzi così come nella poesia) è pura fisicità ed esiste, per i suoi personaggi, come evento principalmente sensuale che ha valore conoscitivo ma anche distruttivo (Parussa, 2003, p. 13). Che la corrispondenza della dialettica pasoliniana con il discorso di Baglioni non sia casuale sarà dimostrato qui sotto dalla lunga serie di citazioni che il cantautore ha preso dallo scrittore.
“Uomini persi” è la terza traccia del lato A e descrive una serie di personaggi ai margini del consorzio umano: barboni, terroristi, tossicodipendenti e spacciatori sono presentati in flashback, anzi in un vero e proprio rewind, come sono stati da bambini. Tale operazione di «recupero» dell’infanzia, funziona all’inverso di quanto accade ai personaggi di Pasolini, e restituisce a questi uomini persi la loro dimensione fanciullesca di incorrotta innocenza. Essi sono, infatti, nient’altro che l’evoluzione anagrafica e sociologica dei ragazzi di vita, come dimostrano le forti allusioni alle pagine di apertura di Una vita violenta in cui Lello e Tommaso giocano a pallone con altri ragazzi in un piazzale:
Tommaso, Lello e gli altri si misero a guardarli, accucciandosi intorno con le cartelle che strusciavano sulla fanga: poi vennero due tre con una palla, e gli altri buttarono le cartelle sopra un montarozzetto, e corsero dietro la scuola, nella spianata ch’era la piazza centrale della borgata […] Quelli che giocavano al pallonediedero ancora qualche calcio, poi corsero spingendosi e litigando a raccogliere le cartelle dentro il cortiletto della scuola.
(Pasolini, 1959, p. 7. Corsivo mio)
L’ambiente è quello della periferia degradata di Roma, con gli elementi descrittivi della spianata e del montarozzetto che fanno da sfondo anche a molte scene di Mamma Roma e Accattone. Baglioni rielabora, all’inizio della sua canzone, alcuni elementi testuali presenti nel passo:
Anche questi altri strangolati da cravatte Che dentro la ventiquattrore portano la guerra Sono tornati con la cartella in braccio al vento Che spazza via le foglie del primo giorno di scuola Raggi di sole che allungavano i colori sugli ultimi giochi Tra i montarozzi di terra.
(Baglioni, “Uomini persi”, in La vita è adesso, 1985. Corsivo mio)
Il cantautore non sceglie a caso: la collocazione della scena presso una scuola, dopo la fine delle lezioni, e la corrispondenza testuale nelle parole scuola, cartelle (anzi, con la cartella, dove l’intero sintagma è mantenuto) e montarozzo — un termine tanto più significativo perché dialettale — definiscono l’ambito sociale e topografico dei personaggi, proiettando sugli uomini persi l’ombra caratterizzante dei ragazzi di vita. Il montarozzo è di terra in Baglioni, ulteriore connotazione materica cui fa riscontro la fanga sulla quale strusciano le cartelle in Pasolini; in entrambi i casi sia l’uso del gergo che i termini dialettali hanno l’effetto preciso di collocare la scena nell’ambiente della periferia degradata, ex-campagna divorata dall’avanzata prepotente dell’edilizia. Infine, il movimento aereo della cartella in braccio al vento in Uomini persi è anticipato e geminato dalla parabola che le cartelle compiono nel passo citato di Una vita violenta, quando vengono buttate dai ragazzi sul montarozzo. Lo stesso breve passo del romanzo lascia tracce anche nella seconda proposizione del ritornello, dove ritroviamo il gioco del calcio, importante momento di aggregazione e di confronto / scontro per i ragazzi della borgata:
e tutti dietro a un pallone in uno sciame leggeri come stracci e dove fanno a botte.
(Baglioni, “Uomini persi”in La vita è adesso, 1985. Corsivo mio)
E in effetti Tommaso si troverà in una zuffa (già anticipata nel passaggio precedente dalle spinte e dalla litigiosità dei ragazzi) poche pagine dopo, sempre durante una partita a calcio. Ma la similitudine di leggerezza felice e stracciona dei ragazzi ci pone nuovamente di fronte ad un prelievo testuale esatto, tratto dalle Ceneri di Gramsci:
…non lontano, tra casette abusive ai margini del monte, o in mezzo a palazzi, quasi a mondi dei ragazzi leggeri come stracci giocano alla brezza non più fredda, primaverile;
(Pasolini, Le ceneri di Gramsci, 2003, I, p. 825. Corsivo mio)
Se la similitudine dei «ragazzi leggeri come stracci» filtra da Pasolini a Baglioni, alla brezza è sostituito lo sciame e la situazione ludica è mantenuta («tutti dietro a un pallone» contro «giocano alla brezza»). Ma a ben guardare, la poesia di Pasolini ci dice qualcosa di più sulla canzone di Baglioni: la collocazione in limine alla città e ai margini della legalità edilizia («non lontano, tra casette abusive ai margini del monte, o in mezzo / a palazzi, quasi a mondi dei ragazzi») si proietta anche sulla scena della canzone. E similmente ai «cortili delle Case Nòve» dove abita l’Alvaro di Ragazzi di vita, potrà corrispondere, nei versi di “Uomini persi”, la collocazione «sotto un quadrato di stelle / dentro i cortili dei palazzi», anche se con il caveat che l’inizio di Ragazzi di vita si svolge nel luglio del 1943, quindi alcuni anni prima della fase di costruzione edilizia sopramenzionata. Ma forse ancora più precisamente, ne “L’amico e domani”, i ragazzi annoiati al bar che fanno da sfondo saranno degli alter ego di Riccetto, Zucabbo e gli altri:
L’amico e io e un baretto di ragazzi allegri annoiati amari L’ultima coda di un randagio tra i cantieri dei palazzi nuovi una maestra gioca nel cortile più piccoletta dei suoi scolari.
(Baglioni, “L’amico e domani”,in La vita è adesso, 1985)
Gli stessi palazzi, cortili, cantieri, insomma, la stessa topografia in fieri, mutante e straniante delle opere di Pasolini, e si aggiunga, in quest’ultima citazione, la figura della minuta maestrina, di cui Baglioni sintetizza l’inconsapevole freschezza ma che anticipa e rimanda all’Ida Ramundo, pure lei maestra, della Storia di Elsa Morante, altro testo da cui il cantautore cita, come si vedrà sotto.
Simili prestiti non sono rari, ma anzi costellano il testo della canzone: ecco un luna-park ampiamente illuminato ma tristemente vuoto che campeggia nei ricordi degli “Uomini persi”:
Anche chi dorme in un angolo pulcioso coperto dai giornali, le mani a cuscino Ha avuto un letto bianco da scalare e un filo di luce accesa dalla stanza accanto Due piedi svelti e ballerini a dare calci al mare nell’ultima estate da bambino, Piccole giostre con tanta luce e poca gente e un giro soltanto.
(Baglioni, “Uomini persi”in La vita è adesso, 1985. Corsivo mio)
Anche i ragazzini di Una vita violenta hanno, come punto di ritrovo, un luna park che viene descritto in termini analoghi. Ecco la scena che si offre a Lello e allo Zucabbo mentre vanno al luna park per giocare al calcio balilla:
Lì sotto, proprio all’incrocio delle due strade, s’infossava una spianata piena di pini, dove c’erano i carosielli, con tanta luce e poca gente…
(Pasolini, 1959, p. 25. Corsivo mio)
I carosielli, che Baglioni riscrive usando il più comune termine giostre, sono in entrambi i casi caratterizzati da scarsa affluenza e scintillante illuminazione. Il sottotesto pasoliniano viene in superficie attraverso la ripresa di un cluster di identiche parole: «con tanta luce e poca gente». Il parco-giochi, abbagliante eppure semi deserto, appartiene alla sfera del sogno, del mondo al quale i protagonisti pasoliniani non possono accedere e che possono solo osservare da un punto di vista esterno; la desolazione che li caratterizza è già, tuttavia, il segno che pure quel momento piacevole sarà effimero, giacché di lì a poco quasi tutti verranno colpiti da una qualche disgrazia: Lello perderà la mano in un incidente, lo Zucabbo e gli altri verranno arrestati per omicidio.
Ma vorrei soffermarmi su ancora un altro aspetto — strutturale, questa volta — per cui l’album di Claudio Baglioni si presenta come una vera e propria riscrittura della narrativa pasoliniana. Nella canzone “Uomini persi” avviene un recupero, à rebours, dello stato di innocenza che i ragazzi pasoliniani hanno perduto nella crescita. Come il titolo del romanzo addita ciò che non è più tale alla fine, ciò che si corrompe attraverso la vita della borgata, così il titolo della canzone (“Uomini persi”) indica quello che la canzone stessa vuol cancellare, cioè lo stato di perdizione. E vuol cancellarlo attraverso un rewind del nastro del tempo, recuperando l’immagine bambina del tossicodipendente, del senza tetto, dell’uomo di guerra, del terrorista, dello spacciatore:
Quelli che comprano la vita degli altri Vendendogli bustine e la peggiore delle vite Hanno scambiato figurine e segreti Con uno più grande ma prima doveva giurare
(Baglioni, “Uomini persi”in La vita è adesso, 1985)
L’operazione è condotta con una certa sottigliezza: l’innocenza di ciascuno di questi uomini persi è rievocata attraverso un’immagine analoga e contraria a quella che ne rappresenta la perdizione, il crimine: lo spacciatore, che compra la vita degli altri in cambio di bustine, è ricondotto ai tempi di scuola quando anziché bustine di droga scambiava figurine. Il meccanismo è il medesimo: un baratto, una compra-vendita, ma al crimine è sostituito il gioco, alla pesantezza della droga la leggerezza delle figurine, alla condizione di illegalità, gli innocenti segreti di bambini e al silenzio che accompagna lo spaccio di droga, la sacralità di un giuramento tra ragazzi. La regola vale anche per gli altri personaggi, quasi a costituire una legge del contrappasso positivo:
Anche questi altri strangolati da cravatte Che dentro la ventiquattrore portano la guerra Sono tornati con la cartella in braccio al vento Che spazza via le foglie del primo giorno di scuola Raggi di sole che allungavano i colori sugli ultimi giochi…
(Baglioni, “Uomini persi”in La vita è adesso, 1985)
Chi siano questi soggetti è difficile stabilire con certezza, ma potrebbero essere terroristi che nascondono bombe nella valigetta, oppure uomini politici che traggono profitto dal business della guerra e tengono i documenti nella ventiquattrore. Quest’ultima, che nella canzone si trasforma in una cartella da scolaro, costituisce il link, il perno che collega alla scena — vista sopra — di Una vita violenta in cui la cartella, correlativo della ventiquattrore, viene gettata con una leggerezza che cancella la tragedia della guerra, per correre al gioco. Analogamente, il futuro terrorista, è rivisto nell’atto fanciullesco di rovesciare un sasso scoprendo un formicaio e mettendo in fuga miriadi di piccoli insetti, in un’immagine che richiama una scena di folla in fuga nel panico che segue a un attentato.
E i disperati che seminano bombe tra poveri corpi Come fossero vuoti a perdere come se fossero pupazzi Seduti sui calcagni han rovesciato sassi E un mondo di formiche che scappava
(Baglioni, “Uomini persi” in La vita è adesso, 1985. Corsivo mio)
Questi bimbi che giocano ripiegati sui propri talloni, possono ricordare un’immagine di Accattone, nella quale il figlioletto di Accattone compare brevemente — ma per ben tre volte nell’intero film — mentre gioca nel cortile fangoso, appunto seduto sui calcagni e intento a qualche attività in terra. Più probabilmente, tuttavia, i personaggi della canzone sono ricalcati sul piccolo Mariuccio di Ragazzi di vita, il quale «se ne stava a giocare, tranquillo, accucciato col sederino sui talloni, con due o tre formicole che stuzzicava con uno zeppo» (Pasolini, 1998, vol. I, p. 743). Questo passo non compare nell’edizione originale Garzanti del 1959, probabilmente espunta per motivi di censura, ma appare invece a partire dall’edizione Einaudi del 1979.
Lo stesso titolo della canzone di Baglioni, “Uomini persi” contiene un altro riferimento testuale importante, questa volta ai versi conclusivi delle Ceneri di Gramsci. Ad appena dodici versi dalla terzina che ho citato sopra, in cui i ragazzi sono «leggeri come stracci», la poesia (che reca lo stesso titolo della raccolta) ha termine:
È un brusio la vita, e questi persi in essa, la perdono serenamente, se il cuore ne hanno pieno: a godersi eccoli, miseri, la sera: e potente in essi, inermi, per essi il mito rinasce……Ma io, con il cuore cosciente di chi soltanto nella storia ha vita, potrò mai più con pura passione operare, se so che la nostra storia è finita?
(Pasolini, Le ceneri di Gramsci, 2003, I, p. 826. Corsivo mio)
Con una iterazione del verbo «perdere», presentato anche al participio (quindi nella stessa forma che in “Uomini persi”) il concetto si trasferisce direttamente nel titolo della canzone, divenendone elemento programmatico e chiave di lettura. L’album è costruito secondo una logica visiva che rappresenta scene di vita quotidiana, minimali, e nel titolo completo La vita è adesso, i sogni sono sempre s’intravede un’esortazione ad uscire dalla dimensione di mero sogno (o mero mito), un termine che, come ho detto sopra, già per Pasolini è posto antiteticamente a vita. I ragazzi del poemetto di Pasolini, nella loro esclusiva capacità di godersi la sera, di avere il cuore pieno di vita eppure perderla serenamente, sono i protagonisti di una medesima vicenda che è narrata tanto nei romanzi di Pasolini quanto nell’album di Baglioni e che si realizza nel fango e sul cemento delle periferie.
In tutta la raccolta che reca il titolo Le ceneri di Gramsci, protagonista non è solo la gioventù della periferia, ma anche il paesaggio della periferia, anzi l’una e l’altro sembrano inscindibili, quasi fossero due facce della stessa medaglia. E dunque i lungoteveri, i tufi del Macello, gli autobus con grappoli di operai, gli angoli coi mucchi secchi d’immondizia sono luoghi universali che appartengono agli abitanti delle borgate così come gli abitanti appartengono ai luoghi. Parlare della miseria dei palazzi in costruzione significa parlare delle donne che stendono i panni nei cortili o dell’operaio che guarda la televisione con la famiglia la sera. E dei luoghi veniamo dunque a parlare per un’altra canzone contenuta nell’album La vita è adesso, cioè “Un treno per dove”.
Qui l’argomento è, ancora una volta, il sogno, inteso però come proiezione per un possibile cambiamento e miglioramento della realtà, un rovesciamento della posizione di cupo pessimismo espressa da Pasolini ne Le ceneri di Gramsci:
Si distendono appena le passioni, si chiude la fresca ferita appena, che già tu spendi l’anima, che pareva tutta spesa, in azioni di sogno che non rendono niente… Ecco, se acceso dalla speranza — che, vecchio leone puzzolente di vodka, dall’offesa sua Russia giura Krusciov al mondo — ecco che tu ti accorgi che sogni.
(Pasolini, Il pianto della scavatrice, 2003, I, p. 846)
Pasolini non pare aprire a un possibile recupero del sogno o una sua attuabilità ed anzi il dramma sta proprio in questa lacerazione, questo spreco dell’energia vitale contenuto nel sogno, paradigma di un’età perduta. Dunque, i luoghi sono le stimmate della condizione di afflizione degli abitanti delle borgate di Pasolini ed è a questo paesaggio che Baglioni indirizza dei richiami testuali molto precisi nella descrizione del luogo ideale prefigurato in Un treno per dove. Ecco alcuni scorci dal Pianto della scavatrice:
Povero come un gatto del colosseo vivevo in una borgata calce e polverone, lontano dalla città e dalla campagna.
(Pasolini, Il pianto della scavatrice, 2003, I, p. 836. Corsivo mio)
E qualche terzina più sotto :
[…] in quel mondo che poteva soltanto dominare, quadrato spettro giallognolo nella giallognola foschia bucato da mille file uguali di finestre sbarrate, il Penitenziario tra vecchi campi e sopiti casali.
(Pasolini, Il pianto della scavatrice, 2003, I, p. 837. Corsivo mio)
Di questa spettrale immagine di calce e polvere, di foschia e finestre, Baglioni riprende il linguaggio pressoché invariato in “Un treno per dove”, solo inserendolo ina frase ottativa che rende segnala il maggiore ottimismo rispetto alla fonte letteraria:
Vorrei un biglietto per un posto senza le borgate calce e polverone, Bucate da mille finestre uguali che si mangiano la campagna.
(Baglioni, “Un treno per dove”, in La vita è adesso, 1985. Corsivo mio)
La presenza di tanti prelievi testuali indica una strategia allusiva sistematica e tradisce una ragione precisa nel rovesciamento di prospettiva che il cantautore opera: mentre Pasolini, sia nel poemetto sia nei romanzi, chiude la via a qualunque possibilità di uscita dalla condizione di miseria e desolazione, Baglioni propone almeno uno spiraglio di luce, nella formulazione desiderativa dei suoi pensieri, nella proposizione che apre il brano. La «borgata calce e polverone» e le «mille finestre uguali» diventano il simbolo di un mondo da cui il treno dovrebbe costituire una via di fuga, che in Pasolini non si dà; ecco infatti il ritornello della canzone:
Un treno per dove non arrivi il vento di follia Che gela il cuore e che ci trascina via […] Un treno per dove il mare è grano azzurro E un saluto di gabbiani sulle barche e tra le mani
(Baglioni, “Un treno per dove”, in La vita è adesso, 1985)
Si noti anche il contrasto cromatico: in questi ultimi versi il vivo dell’azzurro (proposto reiteratamente nel mare e nel grano) fa da negativo fotografico allo «spettro giallognolo»e alla «giallognola foschia», come pure al colore della calce.
Un altro caso in cui si realizza una riscrittura per rovesciamento è “Notte di note, note di notte”, brano che contiene pure una corrispondenza testuale esatta in un verso e che presenta interessanti opposizioni di carattere semantico e cromatico:
Notte di note, note di notte tesa come pelle di tamburo Fari che bucan la pazienza dell’aria cercando di capirmi gli occhi
(Baglioni, “Notte di note”, in La vita è adesso, 1985. Corsivo mio)
La sinestetica descrizione dell’aria tesa come pelle di tamburo viene da Una vita violenta, e precisamente da un pagina in cui Pasolini si abbandona a descrizioni liriche del cielo di Roma e dei suoi colori:
Che sole, che luce c’erano! Crescevano di minuto in minuto, a vista d’occhio: il verde era sempre più verde, il celeste sempre più celeste. Non una nube in alto, nemmeno a cercarla col cannocchiale. L’aria era tesa come la pelle d’un tamburo: si sentivano le più piccole voci dai quartieri lontani, e tutti i rumori, i ronzii della giornata che incominciava. Era tutto come troppo limpido e bello, sotto quel sole sfacciato tanto era luminoso. E un odore di terra calda, d’erba secca e pulita, di vento di mare. (Pasolini, 1959, p. 273. Corsivo mio)
Diversi elementi di una poetica dell’indeterminato accomunano “Notte di note”a questo passo, per esempio «tutti i rumori, i ronzii della giornata» assonano col «rumore della terra che gira» della canzone e l’«odoredi terra calda, d’erba secca e pulita, di vento di mare» vengono cristallizzati nella canzone in «ogni odore è un ricordo» ma il prelievo «tesa come pelle di tamburo» è soprattutto eclatante. Sebbene questa similitudine sia riferita in Pasolini all’aria, e in Baglioni alla notte, aria compare anche nella canzone, nel verso immediatamento successivo («Fari che bucan la pazienza dell’aria»). Questa similitudine però non pare originale di Pasolini, trovandosi già in Tres imágenes, una poesia del 1947 del colombiano Álvaro Mutis, poi confluita nella Summa di Maqroll il gabbiere:
En su pieza el Capitán reza las oraciones y olvida sus antiguas culpas, mientras su perro orina contra la tensa piel de los tambores.
[Nella sua stanza il Capitano recita le preghiere e dimentica le antiche colpe, mentre il cane piscia contro la pelle tesa dei tamburi.]
(Mutis, 1993, pp. 9-11. Corsivo mio)
Pasolini avrebbe così ripreso da Mutis e Baglioni probabilmente da Pasolini (ma non possiamo escludere che Baglioni, che viaggiò in sud America conoscesse Mutis anche prima dell’edizione Einaudi del 1991).
Tornando al confronto fra canzone e romanzo, la situazione in “Notte di note”è rovesciata rispetto a Una vita violenta: qui è notte e silenzio, là è giorno e c’è brusio, ma il sorgere del sole è citato in entrambi i passi («La giornata che incomincia» diventa«un’alba che confonde», «un risveglio salato di mare»); il silenzio notturno che pervade la canzone consente di percepire il «rumore della terra che gira», mentre la scena nel romanzo risuona di un concerto di rumori mattutini; «non una nube» solca il cielo di Pasolini, mentre «nubi d’inchiostro» rattoppano quello di Baglioni, e si noti il più raro nube, non nuvola,in entrambi. Inoltre alla solarità dilagante della mattina pasoliniana si contrappone l’oscurità della notte nella canzone: invece del sole avremo la «luna che imbroglia i cani / vagabondi invisibili nelle vie», dove credo che «imbroglia» valga «nasconde», «fa sparire», contribuendo così all’effetto di un paesaggio cromaticamente dominato dai colori scuri. A fronte degli scintillanti colori verde e celeste e della insistenza sulle parole «sole», «luce», «luminoso» in Pasolini, in Baglioni prevalgono «notturno», «notte», «luna», «nubi d’inchiostro». Il peso dei sensi è grande in entrambi i testi: la sinestesica potenza del vento di Pasolini, connotato dall’odore di terra, di erba e di mare, si traduce nella soggettivizzazione del vento in Baglioni, un vento che «annusa», trasformandosi quasi in creatura vivente, dotata addirittura di «alito», e il mare, evocato più avanti appare all’alba: «un risveglio salato di mare sui pontili deserti che scavalcano le onde».
“Notte di note”è un caso davvero singolare per lo studio intertestuale, essendo composta di un collage di tessere testuali provenienti non solo da Pasolini ma anche da Elsa Morante, Mario Luzi e Gabriel García Márquez. Nell’epigrafe della Religione del mio tempo Pasolini dedica il suo poema a Elsa Morante, che come lui descrisse, pur con una lente ideologica diversa, la vita dei disagiati nella Roma nel dopoguerra. La storia, epica al femminile delle borgate devastate dalla guerra e mai risanate, ha pure fornito a Baglioni un’ispirazione letteraria: questa strofa di “Notte di note”descrive la quiete dopo la tempesta nel rispetto della scansione cronologica dell’album:
muri vecchi / che respirano un giovane cielo rattoppato / e un risveglio salato di mare / sui pontili deserti che scavalcano le onde / come qualcosa di rauco / che ti chiedi cos’è mentre ti è già passato.
La mescolanza di varie fonti che il cantautore riutilizza per “Notte di note”predilige passi che descrivono il passare del tempo, la transizione tra notte e giorno, lo scorrere della notte e, in generale, una retorica temporale che ben si accorda con il tema dominante de La vita è adesso. Ne Lastoria Elsa Morante scrive, in un’atmosfera di speranza e rinascita portata dal vento dopo la pioggia, che «La tramontana, nel suo passaggio veloce dopo le piogge, aveva lasciato l’infinito così limpido che perfino i muri vecchi ringiovanivano a respirarlo» (Morante, 1974, p. 507). Il vento assume un valore simbolico di rinascita nell’opera di Morante (Jeannet, 2003, p.117) ed opera, in questo passo, come una forza che spazza via l’oscurità e porta rinnovata speranza al sorgere del sole. Come per La vita è adesso, il tema temporale nella Storia si manifesta sin dal titolo, e proietta le vicissitudini di Ida Ramundo sul più vasto orizzonte degli eventi dell’occupazione tedesca di Roma e dell’immediato dopoguerra. Da questo romanzo così radicato nella temporalità, Baglioni preleva dunque una frase che è come il violento soffiare del vento fra le strade della sua città.
In un passo di “Notte di note”già citato sopra a proposito del vento di mare, Baglioni descrive pontili desolati soprastanti le onde:
un risveglio salato di mare sui pontili deserti che scavalcano le onde come qualcosa di rauco che ti chiedi cos’è mentre ti è già passato
Baglioni (“Notte di note”,in La vita è adesso, 1985. Corsivo mio)
L’allusione è qui al Mario Luzi di Onore del vero, in cui troviamo un breve testo intitolato “Sulla riva,” che apre esattamente con le stesse parole:
I pontili deserti scavalcano le ondate Anche il lupo di mare si fa cupo. Che fai? Aggiungo olio alla lucerna, tengo desta la stanza in cui mi trovo all’oscuro di te e dei tuoi cari
La brigata dispersa si raccoglie Si conta dopo queste mareggiate Tu dove sei? ti spero in qualche porto… L’uomo del faro esce con la barca Scruta, perlustra, va verso l’aperto. Il tempo e il mare hanno di queste pause.
(Luzi, “Sulla riva”, 1998, p. 217)
L’immagine in apertura del mare mosso filtra da Luzi a Baglioni con la minima variante «ondate», e l’atmosfera di quiete dopo la tempesta della poesia estende così la sua ombra sulla canzone. Giorgio Cavallini ha messo in luce in questa poesia elementi da intendersi come metafore della precaria condizione metafisica dell’uomo: «Con forte tensione morale il poeta, nella sua ricerca della verità, rappresenta simbolicamente una condizione umana che oscilla tra la tempesta, la disperazione, la solitaria incertezza da un lato e la quiete, la speranza e la comunione coi nostri simili dall’altro: tra il “disperdersi” e il “raccogliersi”, tra il movimento e la pausa» (Cavallini, 2000, p. 76). Si tratta di elementi alquanto vari e contrastanti, ma c’è tuttavia una tensione verso uno stato di quiete, o perlomeno un momento di riposo nell’alternarsi delle mareggiate; infatti nella seconda parte della poesia siamo dopo la tempesta, prevale l’elemento di riposo rispetto ai marosi («Il tempo e il mare hanno di queste pause»), e si può uscire in mare aperto.
“Notte di note”presenta la medesima opposizione tra quiete e tempesta, ma i due momenti non si susseguono con lo stesso ritmo con cui si alternano in Luzi, siamo piuttosto in una situazione di quiete nella quale si fa riferimento ad elementi di tempesta. Questi ultimi sono per lo più relegati in una dimensione evocativa. È possibile individuare due distinte aree semantiche: una per la quiete: una «notte di pace … un sollievo di vento … mi addormenterà»; e una per la tempesta: «l’alito largo del vento … i pontili deserti che scavalcano le onde … un ricordo che torna a bruciapelo».
Nella frase successiva ai pontili deserti, Baglioni innesta il verso «qualcosa di rauco che ti chiedi cos’è mentre ti è già passato» con minimo adattamento da “Aprile-amore”, un brano di Luzi tratto da Primizie del deserto, in cui il tempo evoca visioni numinose e spaventevoli, pur con un raggio di finale speranza:
Tempo che soffre e fa soffrire, tempo che in un turbine chiaro porta fiori misti a crudeli apparizioni, e ognuna mentre ti chiedi cos’è sparisce rapida nella polvere e nel vento.
(Luzi, “Aprile-amore”, 1998, p. 203-4)
Il turbine di Luzi, ambiguo portatore di fiori misti a curdeli apparizioni, fa parte di una meteorologia apparentemente contradditoria, la cui manifestazione suscita domande esistenziali ma sfugge all’esame sparendo nella polvere e nel vento. Aprile-amore associa la dimensione cronologica a quella del tempo atmosferico, confondendo e sfidando la capacità analitica della ragione («mentre ti chiedi cos’è e sparisce» che genera «qualcosa di rauco che ti chiedi cos’è mentre ti è già passato» nella canzone). La morte, nella poesia, è preannunciata e adombrata da venti misteriosi: «fatti irreali / prefigurano l’esilio e la morte / […] / m’aggiro in così ventoso spazio». Il poeta, tuttavia, riserva alla strofa finale una luce di speranza che rischiara coloro che sono oppressi dal pensiero di morte («Il pensiero della morte mi accompagna»):
L’amore aiuta a vivere, a durare l’amore annulla e dà principio. E quando chi soffre o langue spera, se anche spera, che un soccorso s’annunci di lontano, è in lui, un soffio basta a suscitarlo.
(Luzi, “Aprile-amore”, 1998, p. 203-4)
La speranza per Luzi giunge in forma pneumatica, una tipologia di amore provvidenziale che ha in sé il potere di annullare e di creare. Questo stesso concetto ripropone Baglioni in conclusione di “Notte di note”:
Quando verrà dal cielo dove si trova una speranza di luce una canzone nuova?
Qui in questa notte di note a guardarmi la vita dentro le mani vuote ma che cos’è mai che mi fa credere ancora mi riga gli occhi d’amore e mi addormenterà dalla parte del cuore?
(Baglioni, “Notte di note”, in La vita è adesso, 1985)
Se Luzi augura che «un soccorso s’annunci di lontano» a coloro che sperano e soffrono, Baglioni si chiede «Quando verrà / dal cielo dove si trova / una speranza di luce», auspicando «una notte di pace nei cuori affaticati». Luzi annuncia la speranza suscitata da un soffio di vento della forza distruttrice e rigenerativa dell’amore; Baglioni pone la domanda di cosa lo spinga a credere e sperare. Dunque la canzone di Baglioni risponde alla richiesta di soccorso di Luzi in forma di impaziente domanda «quando verrà? […] che cos’è?»). E l’ascoltatore potrà allora chiedersi se i «cuori affaticati» della canzone non comprendano anche gli sfortunati personaggi dei romanzi di Pasolini e Elsa Morante, gli uomini (e donne) persi delle borgate romane nel dopoguerra.
La fine che coincide con l’inizio, la distruzione portata dal vento e il mistero del passaggio dalla vita alla morte e di nuovo alla vita sono fra i temi portanti anche del capolavoro di Gabriel García Márquez, da cui Baglioni prende due strategici sintagmi innestandoli in Notte “Notte di note”. Cent’anni di solitudine ci presenta un personaggio misterioso, lo zingaro itinerante Melquíades, braccato e infine raggiunto dalla morte. Ma Melquíades inspiegabilmente ritorna dalle tenebre della morte ed è proprio da questo punto, dall’inizio dell’ultima pagina del romanzo di García Márquez, che Baglioni preleva due frammenti testuali e li incastra nella canzone:
“Notte di note”(Baglioni, 1985. Corsivo mio) in questa notte di ragnatele di fili notturni sul mio viso l’alito largo del vento mi segue annusando i pantaloni […] notte di note note di notte tesa come pelle di tamburo fari che bucan la pazienza dell’aria cercando di capirmi gli occhi […] buona notte a un sollievo di vento
Cent’anni di solitudine (Márquez, 1968, p. 10 e p. 342. Corsivo mio) la morte lo seguiva dovunque, annusandogli i pantaloni, ma senza mai decidersi a dargli l’unghiata finale. Ferito dalle lance mortali delle nostalgie proprie e altrui, ammirò l’impavidità della ragnatela sui rosai morti, la perseveranza della zizzania, la pazienza dell’aria nella raggiante mattinata di Febbraio.
Nella prima delle due stanze qui riportate, Baglioni ripropone il tema della caccia mortale, ma sostituisce all’inseguitrice «l’alito largo del vento». Improvvisamente la coincidenza con l’incipit di “Aprile-amore”balza alla nostra memoria: «Il pensiero della morte mi accompagna». Venti e morte ritornano in una letale associazione sia nella poesia di Luzi che nella conclusione di Cent’anni di solitudine, nel cui finale una tempesta distrugge il villaggio di Macondo nel preciso istante in cui l’ultimo Buendia, Aureliano Babilonia, comprende il misterioso significato delle pergamene dello zingaro Melquíades. La distruzione del villaggio azzera il ciclo del tempo di Cent’anni solitudine, ed è questo un tema sul quale si è espresso, fra gli altri, Cesare Segre (2008, p. 255), che vede il «tempo della mente» e il «tempo del calendario» come il paradigma di un tempo fluido, frammentato e molteplice nel romanzo dello scrittore colombiano. Il tempo vi è dunque descritto come duplice e curvo anziché lineare, e gli elementi che legano il romanzo di García Márquez nella canzone di Baglioni sono gli stessi che vi legano le due poesie di Luzi e il romanzo di Elsa Morante: il ciclo del tempo, l’inseguimento della morte e la presenza del vento, ora come forza distruttrice, ora come energia di rinnovamento.
Se dunque ora riascoltiamo “Notte di note”, le parole «l’alito largo del tempo mi segue / annusando i pantaloni» assumono una connotazione ben più precisa e tetra, sapendo che esse rimandano alla morte che segue Melquìades. Sappiamo però anche che lo zingaro tornerà dalla morte, ripristinando il ciclo luziano di anullamento e rinnovamento dell’amore.
Un’ultima, conclusiva considerazione servirà a chiarire ulteriormente la vicinanza dell’album Lavita è adesso a Cent’anni solitudine: nel realismo magico di García Márquez, Melquíades ordina gli eventi narrati nelle sue carte non nel tempo convenzionale dell’uomo, ma concentrando un intero secolo di episodi quotidiani in modo che essi coesistano in un solo istante ed è solo adottando questa lente di lettura sincronica che Aureliano Babilonia riesce a decifrare gli arcani scritti. Questa struttura si applica perfettamente alla concezione del tempo in La vita è adesso, poiché essa è una serie di ritratti istantanei, presi, sì, in diversi momenti del giorno, ma fusi insieme in un solo momento che riunisce in un’unica vita i tempi e le essenze di molte vite diverse. Il tema portante di tutto La vita è adesso è il passare del tempo e il suo manifestarsi nei meccanimsi della memoria, e quasi ogni canzone nell’album contiene versi che riflettono questo concetto: «noi / al centro di un frammento della vita» (“Un nuovo giorno o un giorno nuovo”); «Una finestra sola / per contenere tutto il mondo / ed un armadio a specchi con la carta / ed i ricordi messi dentro» (“L’amico e domani”); «Questo stesso istante / che mi confonde in altri giorni e in altri odori» (“Amori in corso”); «Oggi è quasi un secolo di noia» (“E adesso la pubblicità”); «Il tempo inganna gli orologi / e questa corsa assurda per domani» (“Un treno per dove”). Baglioni inserisce il suo discorso in un dialogo con altre opere letterarie che discutono e descrivono la relazione fra lo scorrere del tempo e la sua registrazione nella nostra memoria. Riconoscere dunque i sottotesti letterari allusi nell’album può illuminare il significato delle canzoni, e questa operazione è stata svolta al microscopio della critica intertestuale, perché nessun segno di sutura permane dopo gli innesti testuali. La strategia allusiva di Baglioni si dimostra quindi antitetica rispetto a quella riscontrata in Vecchioni e Guccini.
E un ulteriore ponte tra Baglioni e Luzi parte da “E adesso la pubblicità”, che all’inizio e poi di nuovo alla fine, descrive una ragazza nell’atto di guardare fuori della finestra, come in attesa di un futuro che sembra non arrivare mai:
Ed ecco come Luzi dipinge le ragazze in Alla vita, una poesia tratta da La barca:
Le ragazze alla finestra annerita
Con lo sguardo verso i monti
Non sanno finire di aspettare l’avvenire.
(Luzi, “Alla vita”, 1998, p. 29. Corsivo mio)
Sebbene qui le corrispondenze verbali si limitino a «finestra» / «vetro» e «guardi» / «sguardo», la situazione è la stessa: una giovane (o più giovani) che guarda fuori della finestra (in Baglioni diventa per metonimia un vetro) il che dà la sensazione che la ragazza vi sia molto vicina, quasi incollata, tanto che la cornice della finestra scompare e tutto ciò che rimane è il vetro. La situazione di attesa si ripropone in “E adesso la pubblicità”, anzi il centro della canzone è proprio l’attesa di un cambiamento, la frustrazione per il tardare di un futuro positivo in opposizione alla noia del presente. Questa attesa prolungata fino all’esasperazione è infatti uno dei temi centrali di Primizie del deserto e Onore del vero; come osserva Claudio Scarpati, l’anticipazione della speranza in una condizione eremitica e penitenziale non porta ad una realizzazione, ma «la situazione desertica deve essere esasperata perché è una situazione autoconoscitiva» (Scarpati, 1970, p. 91). Questa peregrinatio desertica genera nella poetica di Luzi un eterno ripetersi del tempo, la vita rivolge su se stessa come un’«orbita della continuità storica» da cui a stento è possibile uscire. È questo un principio che Baglioni spezza con il suo messaggio intitolando l’album La vita è adesso.
Ancora, da “Se mai solo vivendo” di Luzi (Dal fondo delle campagne, 1965) proviene il verso «senza persone e novità» di “E adesso la pubblicità” che, con inversione dei termini:
È un giorno senza novità o persone.
Tu che occupi tutta quanto è vasta
epoca dopo epoca la storia
in tutta la sua distesa, in tutta
l’altezza dai fondali alle montagne
dove in rocce vietate all’uomo
incerto muove i passi lo sherpa
ma diffondi oscurità
difficile a forare
e se mai solo vivendo,
se mai solo scendendo questa scala,
è un giorno senza novità o persone
ora di batticuore ora più certo
d’un libro aperto alla sua giusta pagina,
un giorno, un giorno tra il prima e il poi, tra il cibo e il sonno.
(Luzi, 1998, p. 275 . Corsivo mio)
Nella canzone, il verso è impiegato per descrivere l’intermittente attività della madre della ragazza («tua madre che si sveglia a strappi e scuote / tutta la polvere di un giorno / senza persone o novità») e d’altronde “Se mai solo vivendo”condivide il tema del tedio e del tempo che non passa mai «…Il cane / sonnecchia steso tra la madia e l’angolo / o si strofina contro muri e spigoli / finché torna ad accucciarsi. Le ore / passano senza che altro ne dia segno», che forse ha pure generato una riga di “Tutto il calcio minuto per minuto”: «L’inverno passa basso in cielo / e un vento a strisce viene da lontano / un cane gli corre dietro storto / leccando i muri della strada».
Ma dagli intertesti luziani Notte di note passa con naturalezza di nuovo a Pasolini: forse è una sezione della Religione del mio tempo ad avere ispirato la figura del padre della ragazza di “E adesso la pubblicità”. Nella canzone egli appare descritto così:
tuo padre mani da operaio a vita
che ride e gli si spacca il viso impallidito di tivù [….]
tuo padre si strofina le mascelle
come impanate nella barba
una sigaretta in mezzo ai denti e lui ci parla intorno
Le mani di quest’uomo sono da «operaio a vita», una specie di stigmate dell’identità sociale, e la risata sopravviene con forza esplosiva, improvvisa, tanto da «spaccare» il viso. Le mascelle, la barba e la sigaretta attorno a cui egli parla suggeriscono l’accostamento con la figura di un altro, padre, creato dalla penna di Pasolini nella Religione del mio tempo, ma forse ritratto fedele di una situazione reale:
…il vecchio padre di famiglia, disoccupato,
che il feroce Frascati ha ridotto
a una bestia cretina, a un beato, con nello chassì i ferrivecchi
del suo corpo scassato, a pezzi,
rantolanti: i panni, un sacco,
che contiene una schiena un po’ gobba,
due coscie certo piene di croste,
i calzonacci che gli svolazzano sotto
le saccoccie della giacca pese
di lordi cartocci. La faccia
ride: sotto le ganasce, gli ossi
masticano parole, scrocchiando:
parla da solo, poi si ferma,
e arrotola il vecchio mozzicone,
carcassa dove tutta la giovinezza,
resta, in fiore, come un focaraccio
dentro una cofana o un catino
non muore chi non è mai nato.
(Pasolini, La ricchezza, IV, La religione del mio tempo, in Tutte le poesie, 2003, I, pp. 923-4. Corsivo mio)
La figura paterna tratteggiata da Pasolini, disoccupato, malvestito e istupidito dall’alcol, ispira il padre — certo non altrettanto malmesso — di “E adesso la pubblicità”. Il padre della canzone un mestiere ce l’ha, anche se «operaio a vita» suona più come una condanna che come un’identità professionale. Vi sono dei tratti in comune fra i due genitori che, alla luce dei ponti gettati e mostrati sin qui, non sembra di poter considerare semplici coincidenze. Intanto per cominciare «la faccia»dell’uomo, che «ride» in Pasolini diventa il «viso» del padre in Baglioni, che «si spacca»quando «ride». Nella canzone sono evocate le «mascelle»,mentre nella poesia abbiamo «ganasce», che «masticano parole scrocchiando», evocando il suono del viso che si spacca nel riso. Anche l’atto verbale si trova sia nella canzone che nella poesia, ed è un atto vuoto, perché le parole non sono riportate né riassunte. E ovviamente la sigaretta, che in Baglioni diventa addirittura il centro del movimento fisico della bocca, è un altro elemento comune. Mi sembra anche che nelle mascelle «impanate» del padre di “E adesso la pubblicità”sia evocata la sensazione di «croccantezza» espressa in Pasolini da quel gerundio «crocchiando». Gli ossi masticano e scrocchiano mentre l’uomo compie una «masticazione» delle parole, producendo lo stesso croccante suono che si produce quando si mastica un cibo impanato. “E adesso la pubblicità”è la storia di una sera qualunque in famiglia, vista attraverso gli occhi di un’adolescente che prova urgenza per la vita e frustrazione perché invece non può che starsene a guardare dalla finestra, il tutto in un contesto sociale proletario: il padre è un operaio, la madre una casalinga. Il primo prestito è volto a descrivere la fragile fisionomia della ragazza:
Non si potrà escludere l’influenza di quel «una schiena un po’ gobba» del padre di La religione del mio tempo, ma in Una vita violenta sono dei personaggi assolutamente secondari ad avere una schienuccia da uccelletto, si tratta di due scopini dell’ospedale che «s’ingobbiscono» per lo sforzo mentre portano alla fornace i rifiuti per eliminarli:
[…] scomparvero senza dire una parola, tutti ingobbiti, con quelle schienucce d’uccelletti. (Pasolini, 1959, p. 275. Corsivo mio)
Baglioni mantiene il vezzeggiativo «schienuccia», cambia «uccelletti» nel diminutivo «uccellino» e trasferisce questi sostantivi, ingentilendoli, sulla ragazza, che «s’incurva», ripetendo il gesto dei due scopini che camminano ingobbiti. Capita anche con la voce del fratello della ragazza, sguaiata e stonata:
tuo fratello è un grammofono scassato,un fiume di pensieri in fuga
Anche questa è una suggestione acustica che proviene da Una vita violenta, in cui connota la voce di un attivista di sinistra: «Questo che parlava come un grammofono scassato, con una voce profonda che intronava, era Delli Fiorelli» (Pasolini, 1959, p. 312. Corsivo mio). Questo personaggio non occupa un posto centrale nell’economia del romanzo, ma talvolta sono proprio gli elementi più esclusivamente marginali e dimessi a funzionare come una sorta di «tappezzeria», o sfondo testuale e collegare La vita è adesso con l’universo di Pasolini.
Non finisce qui. Numerosi altri casi di citazioni e prelievi, nell’album La vita è adesso costituiscono altrettanti ponti gettati dal mondo della canzone a quello della letteratura. Nel quadro di una riscrittura, queste citazioni rimangono indici dell’intenzione del cantautore di collegarsi all’opera di Pasolini e li elencherò qui di seguito. Nelle pagine iniziali di Una vita violenta, si legge:
Verso mezzogiorno Pietralata era tutta fradicia. Sul vecchio fango secco della spianata c’era una crosticina di fango nuovo, di cioccolata, dove i maruschi ruzzolavano come maialetti giocando a pallone. (Pasolini, 1959, p. 21. Corsivo mio)
L’ambiente umile della borgata è presentato nel suo dato materiale: la terra, la sporcizia, il cemento e i palazzi nuovi, che compaiono pure nella canzone corredati di accompagnamento sonoro: «Le voci aspre delle madri che li chiamavano / Sotto un quadrato di stelle dentro i cortili dei palazzi». La borgata, dicevo, popolata da bambini che ruzzano nel fango, è un setting prediletto del regista e poeta friulano, che Baglioni trasferisce, ancora una volta attraverso i dettagli marginali, in Tutto il calcio minuto per minuto (Baglioni, La vita è adesso, 1985). Questa canzone dal testo alquanto enigmatico ha per protagonisti tre coppie (un uomo e una donna; un ragazzo e una ragazza; un ragazzino e una ragazzina) e si conclude tragicamente con la morte del ragazzo nelle braccia della ragazza.
La ragazzina e le sue scarpe inglesi schiacciano un fango di cioccolata
In un silenzio di gomma americana che butta e prova a fare centro.
(Baglioni, “Tutto il calcio minuto per minuto”, in La vita è adesso, 1985. Corsivo mio)
Se in una canzone del 1985 il dettaglio del chewing gum può passare inosservato, esso aveva invece un valore descrittivo caratterizzante nel romanzo di Pasolini ambientato nell’immediato dopoguerra: portato dalle truppe alleate, è infatti un dettaglio di colore che contribuisce al quadro generale di una Roma ancora in ginocchio dopo l’occupazione e la guerra.
…il Zimmìo stette un po’ in disparte, ciancicando con l’occhio che s’era fatto subito fino, la gomma americana.
(Pasolini, 1959, p. 153. Corsivo mio)
Anche Baglioni dice proprio «gomma americana», non «gomma da masticare» o «chewing gum», e non sarà forse una coincidenza, visto il livello di attenzione lessicale che il cantautore rivolge allo scrittore. Ancora nella stessa canzone — nella quale nessuno dei personaggi, il ragazzino e la ragazzina, il ragazzo e la ragazza e l’uomo e la donna ha nome, ma vengono identificati così, con il loro stato di maturazione anagrafica — il ragazzo, che ne è lo sfortunato protagonista si libera così della sigaretta ormai consunta:
Il ragazzo dà una schiccheraalla cicca
E poi la calcia via come una palla
(Baglioni, “Tutto il calcio minuto per minuto”. Corsivo mio)
Parabola che replica il percorso, parimenti aereo, che Tommaso, il protagonista di Una vita violenta, imprime al suo mozzicone di sigaretta nel gettarlo via:
Strinse tra le dita il mozzone e, con una schicchera, lo fece volare via, sul marciapiede.
(Pasolini, 1959, p. 103. Corsivo mio)
Anche qui la tecnica allusiva di Baglioni è sottile: la parola schicchera filtra nel suo testo e mozzone è sostituito dall’equivalente cicca; il volo della sigaretta in Pasolini è riflesso e raddoppiato nella schicchera e nel calcio, come ad un pallone, del ragazzo di “Tutto il calcio minuto per minuto”. Ma ancora una volta, il sottotesto offre una prospettiva che arricchisce la comprensione dell’ascoltatore della canzone perché il ragazzo di “Tutto il calcio minuto per minuto”muore alla fine della canzone, fra le braccia della ragazza, stessa tragica sorte che tocca a Tommaso in Una vita violenta.
“L’amico e domani”, forse la più descrittiva delle canzoni di La vita è adesso, innesta un frammento senza visibile sutura ancora una volta da Una vita violenta:
l’amico e io aspettiamo l’auto e tutti aspettano da soli
e le ragazze ridono fresche come mazzi d’insalata
una riga sulla pelle blu del cielo e teste alzate come girasoli
(Baglioni, “L’amico e domani”, in La vita è adesso, 1985. Corsivo mio)
I mezzi di trasporto pubblico sono una presenza costante nella narrazione di Pasolini, che indugia volentieri in descrizioni di tram sovraccarichi o di persone in attesa alla fermata. Le linee degli autobus sono i vettori che muovono i personaggi da un quartiere di Roma all’altro anche per Baglioni e la forma abbreviata auto per autobus, che questi sceglie, è pure frequente sia in Ragazzi di vita che Una vita violenta. Ma si confronti il passo appena citato con la descrizione di questo giovane in Una vita violenta: «Un giovanotto largo e chiaro come un mazzo di scarola» (Pasolini, 1959, p. 55). È l’immagine che sta all’origine del verso di Baglioni, che preferisce declinare la similitudine al femminile anziché al maschile. Non è raro nell’album musicale di Baglioni, che i prelievi da Pasolini vengano impiegati a protagonisti del sesso opposto: se in origine un’immagine apparteneva a un uomo viene ingentilita per adattarsi a una ragazza, e viceversa.
Si tratta ancora una volta di una strategia marginale, che cioè non si incardina su titoli famosi, nomi di protagonisti o versi celebri, ma invece il materiale testuale viaggia sotterraneamente e riemerge fruttificando a distanza. Il risultato è che nel testo della canzone non appare traccia alcuna della sutura testuale operata: un modus operandi, dunque, diverso da quello di Vecchioni e Guccini che usano invece icone, titoli e figure riconoscibili.
Opere citate:
augé Marc. (1996), Nonluoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano.
barański, Zygmunt. (1999), Pasolini, Friuli, Rome, 1950-51 in Z. G. Barański (ed.), Pasolini Old and New, Four Courts Press, Dublin.
Compagnon, Antoine. (1979), La seconde main ou le travail de la citation. Editions du Seuil, Paris.
Cosgrove, Denis. (1990), Realtà sociali e paesaggio simbolico, Unicopli, Milano.
Luzi Mario. (1998), L’opera poetica, a cura di S. Verdino, Milano, Mondadori.
Parussa, Sergio. (2003), L’eros onnipotente: erotismo, letteratura e impegno nell’opera di Pasolini e Jean Genet, Tirrenia Stampatori, Torino.
Pasolini, Pier Paolo.(1955), Ragazzi di vita, Garzanti, Milano.
Pasolini, Pier Paolo. (1957), Le ceneri di Gramsci, Garzanti, Milano.
Pasolini, Pier Paolo. (1959), Una vita violenta, Garzanti, Milano.
Pasolini, Pier Paolo. (1998), Tutte le opere. Romanzi e racconti 1946-1961, 2 voll.,a cura di W. Siti, Mondadori, Milano.
Pasquali, Giorgio. (1942), Arte Allusiva, in “L’Italia che scrive”, 25, pp. 185-87; rist. in id. (1951)
Di Cathy Ann Elias (De Paul University)
Il modo migliore per capire i testi di Claudio Baglioni è citare il titolo del suo secondo album ufficiale, Un cantastorie dei giorni nostri (1971). Durante la sua carriera, Baglioni racconta frammenti dei momenti struggenti e banali della sua vita, a volte in modo diretto, a volte attraverso illusioni pittoriche ispirate dalle emozioni che ha creato nel comporre la musica. Baglioni è un costruttore della narrazione, focalizza il suo obiettivo sul momento, poi si sposta sul passato o si proietta verso il futuro. Il suo stile lirico è in continua evoluzione, diventando più sofisticato ed è, come vedremo, radicalmente diverso tra i diversi album. Baglioni usa la parola ‘cantastorie’ (le cui radici risalgono al Trecento) anziché che ‘cantautore’, invece comunemente usata dai suoi contemporanei. Per lui, la musica è ciò che crea il testo, non è il testo a essere musicato. Baglioni per lo più compone prima la musica e l’emozione della musica si traduce nelle parole. Si lamenta di lottare con le parole. In una conferenza alla New York University ha detto “. . . la musica è un mondo misterioso, una specie di acqua, è quasi metafisica, invece le parole hanno un senso compiuto, hanno una dimensione e questo le rende anche difficili… quello che mi consola per il quale io riesco di arrivare fino alla fine non è tanto avere voglia di raccontare qualcosa e magari un argomento, qualcosa di accaduto, un’emozione, una suggestione, ma quanto quello di aggiungere con le parole altra musica a quella musica che già c’è attraverso il fluido delle note, delle tante melodie, perché poi non esiste mai una sola melodia.”
La sua musica e i suoi testi evolvono in modo sostanziale e continuo, ma ciò che rimane costante è il racconto della sua vita e la sua visione mutevole di un mondo che cambia. Il suo concept album Questo piccolo grande amore (1972) offre una prospettiva sul giovane Claudio alle prese con i suoi sentimenti privati e semplici storie emotive in canzoni famose come “Una faccia pulita”, “Con tutto l’amore che posso”, “Mia libertà”, “La prima volta” e “Questo piccolo amore”. Il suo ritratto di “Porta Portese” ha immortalato l’atmosfera del luogo per tutta una generazione:
È domenica mattina, si è svegliato già il mercato[…] C’è la vecchia che ha sul banco foto di papa Giovanni, lei sta qui da quarant’anni o forse più e i suoi occhi han visto re scannati ricchi ed impiegati, capelloni, ladri, artisti e figli di […]
Vado avanti a gomitate fra la gente che si affolla le patacche che ti ammolla quello là!
Al contrario, Strada facendo (1981) presenta canzoni con testi di diversa natura come “Ragazze dell’Est”, scritta dopo il suo viaggio in Polonia, e “I vecchi”, che si lasciano indietro le illusioni e delusioni sentimentali dell’adolescenza, il vecchio rione romano d’origine, pur senza abbandonarne il ricordo, con brani come “Uno” o più comunemente noto come “’51 Montesacro”, dove iniziò la sua vita. Nel 1985 assistiamo a un cambiamento sia nello stile musicale che nei testi. Baglioni crea un altro concept album che si sviluppa nell’arco di una giornata: inizia con “Un nuovo giorno o un giorno nuovo” e termina di notte con “Notte di note note di notte”. il linguaggio poetico assume una nuova veste linguistica ricca di immagini nitide e colorate, che si intrecciano insieme per creare un’atmosfera più che una storia specifica. Le immagini, complesse, intricate e frammentate, ritraggono i momenti della giornata e vengono eloquentemente cucite insieme come qualcosa di più che dei semplici testi ma come una continua poesia, come accade ad esempio in “Notte di note note di notte”. “I vecchi” da Strada facendo (1981) e “Uomini persi” da La vita è adesso (1985), due canzoni sullo stesso argomento, vecchi solitari illustrano il mutamento del suo stile linguistico e, come hanno sottolineato gli studiosi (Ciabattoni, Elias), incorporano allusioni a poeti come Mario Luzi e Pier Paolo Pasolini. “I vecchi” racconta una storia con alcune astrazioni, mentre “Uomini persi” è piena di piccole immagini poetiche astratte che suggeriscono pensieri e fanno appello ai ricordi, invece di raccontare storie. Confrontando piccoli passaggi da ciascuno può chiarire queste differenze:
I vecchi che si addannano alle bocce mattine lucide di festa che si può dormire gli occhiali per vederci da vicino a misurar le gocce per una malattia difficile da dire . . .
In “I vecchi”, le piccole immagini, caratteristiche dell’arte di Baglioni, alludono a fatti realistici e molto precisi: la vista deteriorata degli anziani, i farmaci per curare le malattie, mattine luminose che servono solo per dormire. In “Uomini persi” le immagini sono più astratte, il linguaggio più poetico, il messaggio viene trasmesso attraverso allusioni ed evocazioni, piuttosto che storie reali:
. . . vento che spazza via le foglie del primo giorno di scuola.
Raggi di sole che allungavano i colori sugli ultimi giochi tra i montarozzi di terra e al davanzale di una casa senza balconi due dita a pistola.
Anche quei pazzi che hanno sparato alle persone bucandole come biglietti da annullare hanno pensato che i morti li coprissero perché non prendessero freddo e il sonno fosse lieve…
Nel 1990 Baglioni crea un capolavoro con l’album Oltre. In esso, il cantautore esplora a fondo nuovi temi personali e la sua nuova padronanza di sofisticate tecniche poetiche che sfruttano il suono delle parole per costruire l’atmosfera e fissare immagini di un momento nel tempo. Un buon esempio è “Io dal mare” che si riferisce all’idea di essere stato concepito su una spiaggia. Filippo Maria Caggiani sottolinea che le immagini sono formate dalla parola “mare” e il cantautore “satura i testi” con parole come amare, stremare, calmare, ansimare, domare, infiammare. . . concludendo la canzone con “quel mare che fu madre e che non so”. Da cantastorie, Baglioni continua a scrivere e riscrivere la sua vita con nuovi album: Io sono qui (1995) e Sono io. L’uomo della storia accanto (2003) si rivolgono al passato e guardano avanti allo stesso tempo. Nel 2009 Baglioni è tornato su questi temi raccontando la sua storia con un libro, un film e una performance chiamata Q.P.G.A. di cui ho avuto il piacere di vedere a Torre del Lago. Baglioni ha rielaborato la storia della prima parte della sua vita descritta nel suo concept album del 1972, Questo piccolo grande amore. Le canzoni di questo album sono state rielaborate e intrecciate in una stravaganza musicale con recitativi, preludi, intermezzi, nuovi pezzi e molto altro ancora. Come un vero cantastorie (trovatore) continua a raccontare le storie della sua vita. Le sue ballate continuano mentre viaggia da Roma a Lampedusa con Con Voi (2013) e molto altro ancora.
OPERE CITATE: – Baglioni, Claudio “Music as a Universal Language. A Conversation with Claudio Baglioni @ Casa Italiana Zerilli-Marimò 2010”, YouTube, 07 Jan. 2011: <http://www.youtube.com/watch?v=O24eh8jPjRM>
– Caggiani, Filippo Maria, Oltre: Storia e analisi del capolavoro di Claudio Baglioni, N.p.: Lulu.com, 2010. – Ciabattoni, Francesco. “A Collage of Literary Subtexts in Claudio Baglioni’s La Vita è adesso” in Musica pop e testi in Italia dal 1960 a oggi, edited by Andrea Ciccarelli, Mary Migliozzi e Marianna Orsi, pp. 113-121.
– Elias, Cathy Ann. “Claudio Baglioni, the Apollo of musica leggera” in Musica pop e testi in Italia dal 1960 a oggi, edited by Andrea Ciccarelli, Mary Migliozzi e Marianna Orsi, pp. 95-111.
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