Ho questa foto di pura gioia
è di un bambino con la sua pistola
che spara dritto davanti a sé
a quello che non c’è.
Ho perso il gusto, non ha sapore
quest’alito di angelo che mi lecca il cuore.
Ma credo di camminare dritto sull’acqua e
su quello che non c’è.
Arriva l’alba, o forse no:
a volte ciò che sembra alba non è.
Ma so che so camminare dritto sull’acqua e
su quello che non c’è.
Rivuoi la scelta, rivuoi il controllo
rivoglio le mie ali nere, il mio mantello.
La chiave della felicità è la disobbedienza in sé
a quello che non c’è.
Perciò io maledico il modo in cui sono fatto,
il mio modo di morire sano e salvo dove m’attacco
il mio modo vigliacco di restare sperando che ci sia
quello che non c’è.
Curo le foglie, saranno forti
se riesco ad ignorare che gli alberi son morti.
Ma questo è camminare alto sull’acqua e
su quello che non c’è.
Ed ecco arriva l’alba so che è qui per me:
meraviglioso come a volte ciò che sembra non è,
fottendosi da sé, fottendomi da me
per quello che non c’è
per quello che non c’è
per quello che non c’è
per quello che non c’è.
(Di Claudio Giunta (Università di Trento).
È un testo lirico, se il lirismo implica, come spiega il vocabolario Treccani, la prevalenza dell’«espressione della pura soggettività del poeta» (e non, per ipotesi, la dimensione del racconto, o del dialogo, eccetera). Ora, la «pura soggettività» che si esprime nelle canzoni è di solito quella di un io innamorato. Non qui. Negli ultimi decenni il repertorio tematico delle canzoni si è enormemente ampliato, e almeno nella canzone d’autore l’amore è ormai un argomento molto meno centrale di quanto fosse negli anni Cinquanta, un argomento sul quale gli autori più aggiornati addirittura ironizzano. Questo è Zappa: «Personalmente odio le canzoni d’amore. Credo fermamente che uno dei motivi per cui esiste un certo qual sottosviluppo mentale negli USA sia da imputare alla gente che cresce ascoltando quella robaccia. Il tuo subconscio si abitua a determinate situazioni e si crea delle aspettative che nella vita reale non esistono e quindi vengono inesorabilmente disattese. La gente che cresce con questo ideale, rimarrà fregata per tutta la vita» (cfr. A. Pizzin, Frank Zappa, Roma, Editori Riuniti 2004, p. 47). E questo è Dylan: «Le emozioni allo stato puro non sono il mio forte. Perché vedi, io non scrivo bugie. È dimostrato: la maggior parte delle persone che dicono ti amo non lo pensano sul serio. L’hanno dimostrato dei dottori. Allora, l’amore genera molte canzoni. Moltissime, direi» (cfr. Paul Zollo, Bob Dylan: The Song Talk Interview, tr. it. Songwriters. Interviste sull’arte di scrivere canzoni, a cura di Paul Zollo, Roma, minimum fax 2005, p. 89).
Era un primo tratto originale: “Quello che non c’è” non parla d’amore. Eccone un secondo: la situazione retorica messa in scena in questa canzone è la riflessione ad alta voce tra sé e sé, non il dialogo con un assente. Il tu – così presente nelle canzoni pop – affiora in un unico verso, «Rivuoi la scelta, rivuoi il controllo», e non è un tu che abbia un’identità riconoscibile, men che meno un ruolo di interlocutore o destinatario, e anzi potrebbe essere lo stesso io narrante, sdoppiato. Quanto allo svolgimento del discorso, il nesso di significato e d’implicazione tra le strofe non è limpido, neppure quando questo nesso è esplicitato da una congiunzione causale («Perciò io maledico…»); ma è evidente che, a differenza di quanto accade in tante canzoni pop, le strofe non si limitano a ribadire ciascuna in modo diverso il medesimo concetto (tipicamente: ‘ti amo’, o ‘mi manchi’, o ‘torniamo insieme’), così come è evidente che, per quanto labile, esiste un ordine, un’articolazione narrativa che viene anche rafforzata, resa coerente dalla cronologia interna («Arriva l’alba, o forse no» –> «Ed ecco arriva l’alba»).
Quanto alla figuralità e alla forma dell’espressione, esse sono tanto idiosincratiche da lasciare più volte il lettore-ascoltatore in dubbio circa il loro esatto significato: vale a dire che, come accade normalmente non nelle canzoni pop ma nella poesia moderna, il testo allinea immagini opache, allusive (l’alito di angelo è il ricordo del bambino che l’adulto sta osservando nella foto? Cosa significa camminare sull’acqua, cosa le ali nere, cosa la metafora-guida «quello che non c’è»?), che appartengono a un codice ristretto del quale il lettore-ascoltatore non ha la chiave; e organizza queste immagini in una sintassi che ignora i vincoli razionali e rompe la linearità del discorso in prosa, secondo un procedimento ben noto ai songwriters del secondo Novecento come Dylan, Paul Simon, Bowie, o David Byrne dei Talking Heads:
«Il senso si rivela a livello non logico» non vuol dire granché, ma ciò che Byrne sta cercando di spiegare è familiare a chiunque ascolti canzoni contemporanee di una certa complessità. Le parole che si trovano in queste canzoni sono le parole del dizionario, le frasi vengono articolate in maniera razionale. Quella che sfugge è di solito la relazione di senso tra queste parole e queste frasi: vale a dire che la domanda che si pone di solito ai poeti post-simbolisti, «Ma che cosa vuol dire?», può essere posta a buon diritto anche di fronte ai poetici paradossi e nonsequitur di Quello che non c’è – foglie che si rafforzeranno, se solo si riesce ad «ad ignorare che gli alberi son morti»; il rimorso per il proprio «modo di morire sano e salvo». Ma che cosa vuol dire? Ecco una domanda che, diciamo fino ai Beatles, nessuno si poneva ascoltando una canzone; ecco una domanda che quasi ogni canzone, oggi, sollecita.
Infine, consideriamo l’identità dell’io lirico. Il testo non inscena una situazione scontata (per esempio la dichiarazione d’amore e devozione di un uomo a una donna) bensì una situazione fortemente caratterizzata (una riflessione sollecitata da una vecchia foto dell’io narrante bambino), che sembra riflettere l’esperienza reale dell’io biografico. Non solo, a farci prendere sul serio il Sitz im Leben di questo testo concorre un altro dato importante, e cioè il fatto che il suo tono amaro e dolente combacia col tono di molte altre canzoni degli Afterhours: il frammento è coerente con l’intero, e questo intero rispecchia la personalità di colui o di coloro che hanno scritto la canzone con un grado di verità infinitamente superiore rispetto a quello che si potrebbe trovare nei testi di un cantante di mezzo secolo fa.