Max Pezzali

(Pavia, 1967 – )

Note per una riflessione su Max Pezzali cantautore

(di Luca Bertoloni, Università di Pavia)

Se all’inizio della carriera qualcuno avesse anche solo ipotizzato che nell’ottobre 2023 Max Pezzali avrebbe vinto il Premio Lunezia per la qualità musical-letteraria di un suo brano (“L’universo tranne noi”, 2013), sarebbe stato senza dubbio tacciato di incompetenza sia letteraria che musicale da parte degli appassionati della canzone d’autore nazionale. Nello stesso modo, in molti avrebbero gridato allo scandalo se avessero anche solo immaginato che, nel futuro, l’interprete pavese sarebbe stato definito di sovente un cantautore.

Tra gli anni Novanta e oggi il panorama della canzone italiana è profondamente mutato, così come cambiata è la sua percezione da parte della critica e del pubblico; grazie a questo cambiamento sono state riposizionate e rivalutate molte figure di autori e interpreti, tra cui proprio quella di Pezzali, membro fondante e frontman del gruppo degli 883 per quattordici anni (dal 1989 al 2003), che nel tempo è riuscito, una volta conclusa l’esperienza con Mauro Repetto, a tornare al centro dei consumi culturali degli italiani con non poche difficoltà, riaffermandosi nello stesso tempo sia come artista che, soprattutto, come rappresentante nostalgico di un’epoca passata, rinsaldando così con forza la sua identità tramite un fil rouge che lega presente e passato.

Su questo versante è significativo che gli album di inediti degli 883 siano sei (a cui vanno aggiunte cinque raccolte con qualche inedito sparso qua e là), mentre quelli di Pezzali solista soltanto uno in meno, cinque (con quattro raccolte e un live), ma nelle scalette dei trionfali tour del 2023 e 2024 gli unici brani post-883 sono soltanto tre tratti dal suo primo disco solista del 2004, Il mondo insieme a te (“Eccoti”, “Il mondo insieme a te” e “Lo strano percorso”), uno dal disco del 2007 Time out (“Sei fantastica”) e due singoli più recenti, “Sempre noi” (2012) e “Discoteche abbandonate” (2024), ignorando completamente i tre album di inediti realizzati tra il 2011 e il 2020. Se è vero che nelle scalette questa concentrazione di brani del passato caratterizza ormai da tempo anche moltissimi artisti più togati del nostro panorama, come Claudio Baglioni o Francesco De Gregori, nel caso di Pezzali questa scelta risulta più interessante almeno per due ragioni: i concerti realizzati dal cantautore tra il 2021 e il 2024 sono infatti i primi completamente antologici realizzati dopo un ventennio in cui egli aveva cercato di maturare una propria identità indipendentemente dagli 883, perdendo in parallelo il gradimento da parte del pubblico; nello stesso tempo, il ritorno dei brani del passato e di quella specifica sensibilità si è evoluta in parallelo alla ricostruzione di quell’immaginario transmediale che aveva rappresentato una delle cifre stilistiche più interessanti della produzione degli 883, anche se non era stata compresa nella sua portata innovativa dalla critica e del pubblico. Ma procediamo con ordine.

Il successo degli 883, che si è esteso sostanzialmente nel decennio degli anni Novanta, è stato dovuto a un mix di elementi diversi, come il ricorso a un sound internazionale pop fatto di sintetizzatori, chitarre e pattern musicali ripetitivi, cantabili e ballabili; l’uso di una lingua media che non disdegna gergalismi e vi fa rientrare in modo molto naturale il turpiloquio, incorporando anche molti inglesismi entrati ormai nell’uso quotidiano giovanile; l’abuso della prima persona plurale, utilizzata per evocare una collettività amicale intesa come l’unico antidoto al disperdersi della società liquida; il ricorso alla rielaborazione a più livelli dell’immaginario pop, che si dà in elementi sia linguistici che, soprattutto visivi, con una strategia che sul piano della citazione verbale diventerà una vera e propria moda degli anni Duemila per artisti come i Pinguini Tattici Nucleari. Significativi in questo senso sono la figura di Spiderman, evocata nel primo grande successo-manifesto del gruppo, “Hanno ucciso l’uomo ragno” (1992), e dischi come La donna, il sogno e il grande incubo (1995), il primo realizzato da Pezzali senza Repetto, che si contraddistingue per una copertina in cui lo stesso cantautore è ritratto come Dylan Dog, riaffermando la centralità del fumetto e del linguaggio visivo nella diffusione dei suoi lavori.

I brani degli 883 si caratterizzano, inoltre, per un’esaltazione malinconica della semplicità della vita di provincia, in cui ogni azione – anche la più banale come mangiare un panino in compagnia degli amici in autogrill – diventa occasione di socializzare creando una barriera contro un mondo difficile e ostile; questo concetto è reso in brani come “La dura legge del gol” (1997), non a caso scritto senza Repetto nel biennio (1997-1999) in cui, come nota Simonetti (2024), Max-883 inizia a diventare Max Pezzali, dove dopo una visione nostalgica delle fotografie di un passato che non può più tornare il cantautore si lascia andare a un’esaltazione della collettività amicale e sociale tramite la metafora del calcio.

È la dura legge del gol
gli altri segneranno però
che spettacolo quando giochiamo noi,
non molliamo mai.
Loro stanno chiusi ma
cosa importa chi vincerà
perché in fondo lo squadrone siamo noi,
lo squadrone siamo noi.

Gli album di Pezzali solista fanno a meno di questa dimensione collettiva, lasciando il posto a un lirismo che sembra non convincere il pubblico, laddove invece – negli anni Novanta – veniva particolarmente apprezzato nelle canzoni d’amore (come “Una canzone d’amore”, “Ti sento vivere” o “Finalmente tu”), dal momento che appare avvolto da un filtro autobiografico e personalizzante che il pubblico fatica a intercettare, di contro alla spersonalizzazione collettiva del mondo inscenato nel decennio precedente. Fanno eccezione i brani del disco del 2004 (Il mondo insieme a te), che sfruttano ancora l’effetto 883, ma soprattutto sono ancora incentrati sul lirismo sentimentale (“Eccoti”) o sulla dimensione della collettività, seppur riconfigurata in termini personali e autobiografici: ne “Lo strano percorso”, hit del 2004, il cantautore racconta la sua esperienza al liceo Copernico di Pavia senza nominarlo espressamente (così come fa con tutta la città, verso cui attua una sorta di sottrazione geografica), ma poi nel ritornello dimostra come il suo percorso autobiografico si inserisca, ancora una volta, in un percorso collettivo (“Lo strano percorso / di ognuno di noi / che neanche un grande libro un grande film potrebbero descrivere mai / per quanto è complicato / e imprevedibile”).

La svolta che porta Pezzali ad allontanarsi dal grande pubblico si osserva con Time out (2007), che tuttavia condivide ancora tematiche e stile simili ai brani degli anni Novanta, ma contaminati con sonorità nuove e con un graduale allontanamento dell’idea adolescenziale e mitica dell’amicizia; in parallelo il linguaggio perde la sua concretezza materica fatta di moto, panini e palloni di calcio, dal momento che i nuovi elementi materiali del presente del cantautore assumono un significato simbolico contrapposto a quello che avevano nel passato: lo notiamo per esempio in un brano come “I filosofi” (2007), dove il guardare il mare diventa un’esperienza mistica e introspettiva che poco ha a che fare con le scorribande giovanili (“Non mi è mai piaciuto stare in spiaggia / a guardare il mare chissà perché / mi sembrava di sprecare il tempo / una stupidaggine inutile”), o in un brano come “Terraferma”, titletrack del disco del 2011 (“Terraferma tra le onde dell’oceano / soluzione e cura di ogni male. / Terraferma che i marinai inseguono / e che le stelle mi han fatto trovare / quando ero perso in alto mare”), che si apre proprio con una meta-riflessione sulla propria nuova produzione (“È una canzone un po’ diversa / da quella che tu ti aspettavi”). È proprio il disincanto giovanile e l’approdo all’età adulta che viene recepito con fatica sia dal suo fandom che dal grande pubblico, questo nonostante lo sforzo introspettivo realizzato dall’autore, e fattosi ancora più intenso nel 2015, evidente in brani come “Il treno”, in cui l’elemento materico e urbano – il treno – assume quella valenza metaforica già impiegata abbondantemente nella canzone d’autore italiana tradizionale e nella letteratura primo-novecentesca.

C’è stato un tempo in cui son stato giovane,
pensavo d’essere forte e infallibile

ma poi gli schiaffi che la vita a volte dà
mi han fatto sciogliere in un bagno di umiltà.

Mentre stavo lì a riflettere
e a compiangermi
ho sentito che
arrivava un treno in velocità
come un suono che rotola e va,
come un treno che si porta via,
come un tuono tutto nella sua scia.

Ne ho persi tanti ma ora non sbaglierò,
ne ho persi tanti ma questo lo prenderò.

Il taglio autobiografico assume tratti ancora più referenziali con l’ultimo – ad oggi – disco di inediti di Pezzali, dal significativo titolo Qualcosa di nuovo (2020), nella cui title track ritorna il tema della nostalgia del passato affrontato con la consapevolezza che non può più essere rivissuto (l’incipit infatti recita così: “Te lo ricordi quell’anno, mi sembra una vita fa / forse anche più lontano della maturità / quando eravamo diversi, è così strano se ci penso”), ritmando un disincanto verso il mondo del passato a cui si può guardare con serenità e, ora, persino con humor: nel disco si alternano la presenza dell’immaginario americano, che rappresenta l’anima più dionisiaca e divertita del cantautore di oggi, e caratterizza come una vera e propria passione/ossessione il Pezzali dell’ultimo decennio (ben rappresentato anche dai viaggi negli Stati Uniti con la nuova moglie), e tratti autobiografici del presente raccontati in termini individuali, referenziali e simbolici, come la specificità della sua vita a Roma, dove si è trasferito prima di tornare nel pavese, cantata in “In questa città” (“In questa città /c’è qualcosa che non ti fa mai sentire solo / anche quando vorrei dare un calcio a tutto”), che condivide i tratti fantasmatici della Pavia degli anni Novanta, seppur con un approccio individuale fortemente diverso: Pavia è un luogo da cui evadere, mentre Roma è un luogo in cui sentirsi a casa.

Se questi testi appaiono certamente più personali e più maturi sul piano del contenuto e dell’espressione del sé, non riescono invece a essere originali e identificativi sul piano dello stile, limitandosi a offrire racconti personali che faticano a sintonizzarsi emotivamente con gli ascoltatori. Per questa ragione negli ultimi tour Pezzali sembra aver fatto pace con il suo desiderio di essere diverso, riproponendosi nella chiave ludica che caratterizzava la sua esperienza con gli 883, ma attraversandola con un filtro-nostalgia condotto in modo maturo e consapevole. Infatti in queste esibizioni non viene mai meno quel cortocircuito nostalgico da tempo tanto apprezzato dai suoi fan, e ben rappresentato dal manifesto de “Gli anni”: il brano è infatti nel tempo diventato l’inno non solo del popolo di Pezzali, ma sia di tutte le persone che hanno vissuto gli anni Novanta, che di coloro che provano una qualche nostalgia per un passato vissuto. È significativo, tuttavia, che molti di questi soggetti non sanno, in realtà, che il brano è ricco di istantanee non degli anni Novanta, ma degli anni Ottanta, che tantissimi di loro non hanno vissuto: ecco dunque che il cortocircuito nostalgico di carattere mediale funziona grazie alla sua struttura sia testuale che musicale, questo aldilà di quello che viene realmente cantato nel testo.

Possiamo allora oggi definire, senza paura o vergogna, Pezzali un cantautore, dal momento che è riuscito a imprimersi nel panorama nazionale elaborando negli anni Novanta uno stile unico ricco di contaminazioni differenti, tutto incentrato sull’eterna nostalgia dell’adolescenza, di un passato in cui poter vivere spensierati tra scorribande sulle moto e serate nei locali; un passato in bilico, come nota sempre Simonetti (2024), tra fisica e metafisica, dove la materialità assume una connotazione sempre intimistica e simbolica, anche se centrifugata in un pensiero veloce che fatica a lasciare spazi per la riflessione, che il cantautore si prenderà di petto, gradatamente, nel corso del tempo e diventando adulto (Berselli 1999); un passato a cui possono guardare nel presente tutte le generazioni, poiché assume un contorno mitico che fa sì che chi lo osserva possa vivere il presente con la consapevolezza di aver vissuto intensamente “gli anni d’oro”, e che basta ricordarli per poter sorridere e affrontare le difficoltà che si incontreranno nella vita e nel futuro.

Bibliografia

Edmondo Berselli, “Il ‘fast thought’ di Max Pezzali”, in Canzoni: storie dell’Italia leggera, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 155-178.

Luca Bertoloni, “La mediocultura giovanile anni 90 e il caso Pezzali: Rotta per casa di Dio”, Inchiostro, 2017, https://inchiostro.unipv.it/la-mediocultura-giovanile-anni-90-e-il-caso-pezzali-rotta-per-casa-di-dio (ultimo accesso: 18 luglio 2024).

Francesco De Rosa, Gianluigi, Simonetti, “Innovazione linguistica e visione del mondo nella canzone di consumo degli ultimi anni: il caso degli 883”, Contemporanea, 1, 2003, pp. 115-139.

Gianluigi Simonetti, “La bellezza degli incubi. Invecchiare con Max Pezzali”, Snaporaz online (Musica e teatro), 21 maggio 2024

Jacopo Tomatis, “The Years of 883: Italian Popular Music at the Time of Commercial Broadcasting”, in Sound, Societies, Significations, Numanistic Approaches to Music, vol. 2, a cura di Rima Povilioniené, Springer, 2017, pp. 179-193.

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