Domenica Bertè, Bagnara Calabra (Reggio Calabria), 1947-1995.
Di Eleonora Buonocore, University of Calgary
Gli inizi
Il suo vero nome era Domenica Berté ed era la sorella maggiore dell’altrettanto famosa cantautrice Loredana Berté. La famiglia Berté era composta da un austero padre, professore di liceo, una madre più malleabile, insegnante di scuola elementare e quattro sorelle: la maggiore, Leda, nata nel 1946, Domenica, nata il 20 Settembre 1947, Loredana con la quale condivideva sia il compleanno (20/9/1950) sia la passione per la musica, ed Olivia, la più giovane.
Domenica era conosciuta in famiglia con il soprannome di Mimì, e fu esattamente con questo nome, Mimì Bertè che iniziò la sua carriera musicale, nei primi anni 60.
Poco dopo la nascita di Domenica la famiglia si era trasferita nelle Marche, a Porto Recanati, una località sul mare ed è proprio qui, nelle discoteche e nei locali cittadini che la giovane Mimì iniziò a cantare in pubblico e riscosse un iniziale successo grazie alla sua bella e particolare voce, che era stata allenata/ formata dall’età di sei anni. Nell’ottobre 1961 persuase addirittura sua madre ad accompagnarla a Milano con lo specifico intento di convincere una casa discografica del suo talento (Mandelli, 11 e 15).
Inaspettatamente, Mimì riuscì ad ottenere un contratto da Carlo Alberto Rossi della Car-Juke Box, e grazie all’opera di questa casa nell’estate successiva (1962) iniziò a cantare in alcuni locali di Rimini. Dato il successo di queste prime esperienze, la casa discografica decise di lanciarla come una delle ragazze yè-yè che erano di moda all’epoca, sebbene quello stile sereno e spensierato di cantare non corrispondesse alle corde della voce della ragazza.
I primi successi
Nel 1963 dapprima Mimì incise alcune cover italiane di canzoni in inglese come “I miei baci non puoi scordare” (versione italiana di “You Can never Stop me Loving You” di Johnny Tillotson) e “Lontani dal resto del mondo” (cover di “I Want to Stay Here”di Steve and Eydie). Nello stesso periodo la ragazza partecipò anche a due festival musicali, prima a Pesaro e poi a Bellaria nel 1964, vincendone uno ed arrivando sul podio nell’altro, grazie alla sua voce unica. Sempre nel 1964 Mimì incise la sua prima canzone originale “Il magone” scritta da Rino Cardi e Gianni Guarnieri. La seconda volta che l’album venne pubblicato conteneva la prima canzone interamente scritta da Mimì, parole e musica, in collaborazione con Carlo Alberto Rossi, intitolata “Come puoi farlo tu,” in cui la giovane cantante si lamentava della possibilità di essere lasciata dal suo innamorato (Coccoluto, 13-16).
Nonostante il successo iniziale, Mimì ebbe problemi con le vendite di dischi e nel 1966 cambiò casa discografica e firmò un contratto con la casa Durium, ma continuò a non riuscire a guadagnarsi da vivere cantando. Dovette ricorrere ad altri lavori, ed in questo periodo si trasferì a Roma con sua sorella Loredana, e le due sorelle iniziarono a cantare insieme e presto formarono un’amicizia con Renato Fiacchini, che in seguito divenne il famoso cantante Renato Zero.
I tre giovani addirittura formarono un trio per un breve tempo nel 1968, ma questa esperienza non venne mai formalizzata, in quanto Mimì firmò un contratto da solista con la casa discografica milanese Esse Records. Sfortunatamente la sua carriera faticava ancora a prendere il volo alla fine degli anni ’60 ed al contrario, durante l’estate del 1969, Domenica ebbe la sua prima grande battuta d’arresto: nell’Agosto 1969, mentre stava cantando e festeggiando in Sardegna, Mimì venne arrestata per possesso illegale di hashish. All’epoca anche il mero possesso di sostanze illegali comportava l’arresto per crimini di droga, ed ella venne incarcerata a Tempio Pausania per quattro mesi in attesa di processo (Mandelli, 26-30 e Coccoluto, 21-23). Sebbene fosse poi risultata innocente di tutte le accuse, l’esperienza del carcere cambiò Mimì, e quando uscì era pronta a cambiare anche il suo personaggio musicale. Si era riavvicinata alla sua famiglia, sia a sua madre che a suo padre, che si erano separati in precedenza, ed era più influenzata da cantanti Jazz, come Ella Fitzgerald e Aretha Franklin quando si esibiva con il trio del pianista Toto Torquati a Roma.
Mia Martini da “Padre Davvero” a “Piccolo Uomo”
Il suo vero cambiamento ed il suo ritorno alle scene dovevano ancora avvenire. Dopo un incontro casuale nel Febbraio 1971, Mimì iniziò a lavorare per Alberigo Crocetta, cacciatore di talenti, che le suggerì di cambiare il suo nome con qualcosa di più riconoscibile sulla scena internazionale. Mimì scelse un diverso nome, Mia, in onore di Mia Farrow, la sua attrice preferita, ed un diverso cognome, Martini, come il famoso liquore. Inoltre, ella creò un nuovo look, aggiungendo alla sua tipica bombetta un trucco da clown che la rendeva inconfondibile. Grazie agli sforzi di Crocetta, la nuova Mia Martini divenne una delle voci più importanti nel famoso club di Viareggio Piper 2000 (succursale estiva del famoso Piper di Roma), e firmò un contratto con la grande casa discografica RCA. Nel 1971 Mia incontrò anche l’allora poco conosciuto cantautore romano Claudio Baglioni, che per lei scrisse alcune canzoni, fra cui “Amore Amore un corno!” che sarà inclusa nel primo album di Mia intitolato Oltre la collina.
Oltre la collina uscì nel novembre 1971 ed era un album potente, precisamente diretto ad un pubblico giovane italiano. Comprendeva l’intensa canzone “Padre davvero” con la quale Mimì aveva già vinto il Festival della Musica di Viareggio quell’estate. Sebbene Mia abbia specificamente negato ogni riferimento autobiografico, è difficile non vedere delle connessioni fra le parole di “Padre davvero,” scritta da Antonello De Sanctis con la musica di Piero Pintucci, e le complesse interazioni familiari di Mimì Berté. Infatti la canzone parla del divario generazionale che era rispecchiato in molte famiglie italiane: “Padre, davvero che cosa mi hai dato?/ Ma continuare è fiato sprecato,” ed includeva parti che vennero sentite come troppo scandalose e furono censurate dalla TV nazionale (Mandelli, 38-39). L’album comprendeva anche una canzone originale di Mia Martini, “Il prigioniero,” scritta insieme a Bruno Lauzi, in cui l’autrice cerca di esprimere alcune delle emozioni provate durante il suo periodo in carcere a Tempio Pausania. L’intero album era intenso e complesso, forse troppo per il pubblico italiano e non ebbe un grande successo di vendite. Nel 1972, tramite i buoni uffici della sua nuova casa discografica, Ricordi, Mia Martini riuscì ad ottenere una canzone perfetta per la sua voce e la sua intensità.
In “Piccolo uomo” la paura dell’abbandono e il conseguente sentimento di mancanza sono espressi dal punto di vista femminile anche se la canzone è stata scritta da uomini (Bruno Lauzi per la musica e Michelangelo La Bionda per il testo). La narrazione in prima persona parla apertamente di una donna che si sente fragile e che pensa di essere incapace di stare da sola (“che giorno triste questo mio/ se oggi tu ti liberi di me/ di me che sono tanto fragile/ e senza te mi perderò…”). Al contrario, l’uomo è visto come colui che detiene tutto il potere, nel ritornello si specifica che lui può decidere di mandarla via e che ella letteralmente morirebbe senza di lui.
Piccolo uomo, non mandarmi via
io, piccola donna, morirei
L’apparente dipendenza del personaggio femminile dagli uomini riflette il modello di società ancora prevalente nell’Italia dei primi anni ’70, ancora patriarcale, in cui le donne avevano ancora bisogno del supporto e del permesso di un uomo per inseguire i propri sogni ed in cui l’unico orizzonte per una donna avrebbe dovuto essere trovare l’amore e sposarsi. I diritti delle donne faticavano ad affermarsi nella società civile. Il divorzio era diventato un’opzione legale per le donne soltanto dal 1° dicembre 1970 mentre l’aborto non sarà una possibilità legale fino al 1978. La voce femminile mantiene comunque un diritto fondamentale per se stessa che le dà forza e muta l’intero tono della canzone, da un tono di disperazione ad uno di speranza. La seconda stanza evoca una scena sotto la pioggia fra i due protagonisti, in cui la donna si immagina che l’uomo sia in qualche modo arrabbiato con lei. Ciononostante, grazie al potere della sua immaginazione, ella può parlare anche al posto di lui, impiegando un espediente della retorica classica detto sermocinatio, ovvero l’attribuzione a un’altra persona di idee e di una voce nella finzione di un dialogo:
Aria di pioggia su di noi
tu non mi parli più, cos’hai?
Certo se fossi al posto tuo
io so già che cosa ti direi
da sola mi farei un rimprovero
e dopo mi perdonerei…
L’assoluzione immaginata ha un effetto liberatorio. Adesso che può lasciar andare il presunto suo sbaglio, la protagonista riesce a vedersi alla pari dell’uomo. Se ella è una piccola donna, allora anche lui è un piccolo uomo, ed ella prende così il controllo della propria vita e del suo desiderio di vivere:
Perché io posso, io devo, io voglio vivere
ci riusciremo insieme …
Questi due versi dichiarano l’indipendenza e la forza della donna, che ribadisce il proprio io tre volte con tre verbi modali (“io posso, io devo, io voglio”), e al tempo stesso annuncia il bisogno che l’uomo e la donna camminino fianco a fianco, insieme. Questa canzone aprì a Mia le porte della televisione e le fece ottenere la copertina di riviste come Ciao 2001. Quello stesso anno vinse anche il Festivalbar e finalmente uscì il suo secondo album Nel Mondo, una cosa, che segnò il primo successo di Mia nelle vendite, oltre a farle vincere il premio della critica per il 1972 (Mandelli, 40). La fama di Mia Martini si spinse fuori dai confini d’Italia, con una versione francese di “Piccolo Uomo.” Quello stesso anno continuò ad incidere canzoni, compresa una che Dario Baldan Bembo e Franco Califano scrissero precisamente per lei, modellandola sulle sue esperienze.
Una carriera musicale complessa
Questa è la genesi di “Minuetto,” un capolavoro della canzone italiana, che racconta la storia di una donna all’interno di una complicata storia d’amore, insoddisfatta del suo uomo ma incapace di lasciarlo. Questa nuova canzone valse a Mia Martini il vero trionfo, dato che vinse il Festivalbar per il secondo anno consecutivo (1973) ed il singolo fu il secondo più venduto in Italia dopo “Pazza Idea” di Patty Pravo. L’album con “Minuetto,” il suo terzo, intitolato Il giorno dopo uscì nella primavera del 1973. Presentava anche “Picnic,” la versione italiana di “Your Song” di Elton John e “Signora,” un adattamento di “Señora” di Joan Manuel Serrat. Il disco fece subito furore ed ebbe un grande successo di vendite sia in Italia che all’estero. Nel maggio del 1974 esce il quarto album di Mia, È proprio come vivere, che comprende canzoni quali “Inno,” “Un’età,” e “Luna bianca,” con testi di Maurizio Piccoli e musica di Dario Baldan Bembo. Presentava anche una canzone con testo in greco “Agapimu,” che Mia Martini aveva scritto con Giuseppe Conte, con la musica di Baldan Bembo. Quest’album venne accolto favorevolmente sia dal pubblico che dalla critica e Mia Martini vinse il Disco D’Oro quell’anno. L’anno successivo registrò grandi cambiamenti nella carriera di Mia Martini.
Dapprima incise l’album Sensi e Controsensi, che includeva canzoni importanti sulle relazioni diseguali fra uomini e donne, come “Padrone,” scritta da Massimo Cantini e Franca Evangelisti, e “Volesse il cielo,” versione italiana di “Au que me dera” di Vinícius de Moraes, tradotta da Sergio Bardotti. Grazie al successo di questi album, la popolarità di Mia Martini crebbe e venne eletta Cantante dell’Anno 1975 dalla rivista TV Sorrisi e Canzoni, insieme ad artisti come Claudio Baglioni.
Il 1975 fu anche l’anno in cui Ricordi decise di cambiare gli autori e i collaboratori regolari di Mia e l’album seguente, Un altro giorno con me, secondo Salvatore Coccoluto rivela una mancanza di convinzione e di omogeneità (Coccoluto, 56). Ebbe comunque un buon successo e comprendeva canzoni come “Malgrado ciò” di Maurizio Piccoli ed un omaggio di Mia Martini alla sua Calabria, “Veni sonne di la muntagnella,” una ninna-nanna in dialetto Calabrese.
Martini considerava questo il suo peggiore album, e nonostante avesse dovuto pagare una forte penale per rompere il contratto con la Ricordi, lasciò la casa discografica per poter esser libera di collaborare con chiunque volesse. Così nel 1976 ritornò ad incidere con la RCA e uscì il suo nuovo album Che vuoi che sia… se t’ho aspettato tanto in collaborazione con artisti di fiducia quali Dario Baldan Bembo, Antonio Coggio, Amedeo Minghi e Mango che venne ampiamente distribuito all’estero e rafforzò la reputazione internazionale di Mia. Nel 1977 Mia rappresentò l’Italia all’Eurovision Song Contest, cantando il pezzo “Libera” di Fabrizio e Albertelli, una canzone che parlava della liberazione delle donne e della possibilità di decidere cosa essere. Nel 1977 vinse anche il World Popular Song Festival Yamaha a Tokyo e nel settembre pubblicò il suo ottavo album Per Amarti.
Quell’anno l’amore fece irruzione nella vita di Mia Martini nella persona di Ivano Fossati che collaborò con Mia Martini a Per Amarti. Nel 1978 Mia Martini lasciò la RCA e scelse di lavorare con Wea per collaborare più strettamente con Fossati. Così, all’inizio del 1979 uscì l’album Danza di cui Fossati firmò tutte le canzoni, conferendogli una forte coerenza stilistica interna. Nonostante il successo di questa collaborazione, Mia ruppe anche il contratto con Wea, poiché cercava più controllo sulla sua vita artistica e voleva del tempo per trasformarsi in una vera cantautrice. Per di più all’inizio degli anni ’80 si dovette sottoporre a un intervento chirurgico alle corde vocali e aveva bisogno di riprendersi.
In seguito, ha scritto, registrato e pubblicato con la piccola casa discografica DDD un album composto interamente di sue canzoni, il cui titolo era semplicemente Mimì (1981). È un album molto personale, in cui Mia annuncia il suo ritorno al canto dopo l’intervento chirurgico con la canzone “Sono tornata”e parla della sua vita amorosa, come nella canzone “E sono ancora qui,” “Del mio amore”, e “Ti regalo un sorriso.” Questo album includeva anche la canzone “Parlate di me,” in cui l’autrice denuncia tutti i pettegolezzi su di lei da parte di persone che non la conoscono. Questo brano è una reazione polemica alla campagna diffamatoria contro Mia Martini iniziata un decennio prima e che cercava di far passare la cantante da portatrice di sfortuna, o di malocchio (una “jettatrice”). Mia si mostrò sempre superiore a queste bassezze (“sono di plastica infrangibile, modello scomponibile”), tuttavia la sua storia d’amore con Ivano Fossati era alla fine e l’effetto delle malelingue iniziava a pesare sulla sua reputazione. Nel 1983, Mia Martini si ritirò a vita privata dopo aver pubblicato un ultimo album d’addio, Miei compagni di viaggio, completamente registrato dal vivo. Mia Martini non si esibì più nella seconda parte degli anni ’80, fino a quando nel 1988 incontrò il cantautore napoletano Enzo Gragnaniello, che le chiese di interpretare alcune delle sue canzoni. Contemporaneamente, nel dicembre del 1988, Mia sopravvisse a un incidente d’auto e in qualche modo questi due avvenimenti insieme la spinsero a tornare a cantare professionalmente.
Il ritorno e “Almeno tu nell’universo”
L’anno 1989, e specificamente il singolo “Almeno tu nell’universo,” segna il ritorno di Mia Martini al grande pubblico e al suo rinnovato successo. Questa canzone, scritta da Maurizio Fabrizio con testi di Bruno Lauzi, venne cantata da Mia durante il suo grande ritorno al festival di Sanremo. Sebbene la canzone non abbia vinto (si è classificata solo al 9º posto), ricevette di nuovo il premio della critica e divenne rapidamente un successo. La canzone inizia criticando l’instabilità della gente e l’incapacità di creare relazioni a lungo termine.
Sai, la gente è strana:
prima si odia e poi si ama,
cambia idea improvvisamente,
prima la verità, poi mentirà lui
senza serietà, come fosse niente…
Il repentino passaggio dall’amore all’odio è attribuito ad un altrettanto repentino cambiamento d’opinione degli uomini nelle relazioni, accusati di mentire facilmente, senza pensare alle conseguenze. L’unione d’instabilità e superficialità è il tema del secondo verso, che descrive le persone come pazze e insoddisfatte, al cieco inseguimento delle mutevoli mode del mondo.
Ciononostante, questa è una canzone di speranza. La cantante ripone le sue speranze in una sola persona, un “tu” maschile non meglio specificato, che incarna le qualità che non riesce a trovare in nessun altro. Il ritornello qualifica questa persona misteriosa come diversa, l’unica persona nell’universo che le offre un punto di riferimento. Mia lo paragona prima, con una metafora, al sole, e poi, con una meravigliosa similitudine, a un diamante che brilla in mezzo al suo cuore. Questa persona è diversa perché al contrario della gente generica dei primi versi non è mutevole.
Tu, tu che sei diverso
almeno tu nell’universo
un punto sei, che non ruota mai intorno a me,
un sole che splende per me soltanto
come un diamante in mezzo al cuore!
L’uomo è specificamente descritto come qualcuno che non cambierà e il cui amore sarà puro, e le cui parole sincere. Questa verità è ciò di cui la voce cantante ha bisogno per superare le proprie paure, evocate nell’ultima strofa, in cui finalmente ammette di essere parte della gente comune. La gente è sola, denuncia Mia, e si consola a vicenda per quanto può. Qui la canzone passa bruscamente dalla gente alla mente della cantante (“non far sì che la mia mente / si perda nelle congetture”), come per auto-includersi nel sostantivo collettivo di prima. L’io lirico ha paura di perdersi nelle sue paure, nonostante riconosca che le sue congetture probabilmente non sono fondate. In ogni caso è solo quest’uomo nuovo, diverso, immutabile e inamovibile come il sole, duro e duraturo come un diamante, a poter portarle il vero amore e placare i suoi timori.
“Gli uomini non cambiano”
Il cerchio della carriera di Mia Martini si chiuse nel 1992, quando di nuovo portò un singolo al festival di Sanremo. Questa canzone, intitolata “Gli uomini non cambiano“, riprende alcuni dei temi fondamentali per Mia Martini, ovvero le battaglie familiari delle donne che cercano di compiacere e cambiare i loro uomini. Il testo, anche in questo caso scritto da autori maschi (Giancarlo Bigazzi, Marco Falagiani e Beppe Dati) ma cuciti su misura per il personaggio di Mia Martini, inizia con la cantante che ricorda il suo amore infantile per un padre incontentabile:
Sono stata anch’io bambina
di mio padre innamorata
per lui sbaglio sempre e sono
la sua figlia sgangherata
ho provato a conquistarlo
e non ci sono mai riuscita
e ho lottato per cambiarlo
ci vorrebbe un’altra vita.
L’inadeguatezza della giovane figlia, che si sente sempre sbagliata e trascurata, si riflette nel suo desiderio di conquistare l’amore del padre e di cambiarlo. Tuttavia, questo desiderio è destinato a rimanere insoddisfatto, poiché ci vorrebbe un’altra vita per realizzarlo. Il tema della strofa successiva è proprio il clima ostile in famiglia creato da quest’impossibilità di cambiamento, che alla fine porta la figlia a scappare con il primo uomo disponibile, nonostante sia un bugiardo. La canzone denuncia gli effetti del sessismo all’interno delle famiglie italiane ancora negli anni ’90 e sottolinea quanto poco sia cambiato il clima sociale nei ventun’anni che separano “Gli uomini non cambiano” da “Padre davvero”: gli schemi patriarcali si perpetuano all’interno della struttura familiare e tendono a riemergere nella generazione successiva. L’ingiustizia deriva dal fatto che gli uomini vengono percepiti come immutabili, “gli uomini non cambiano” appunto, ma sono in grado di far cambiare le donne per loro. Questa diseguaglianza è il motivo per cui questi schemi patriarcali si ripresentano all’interno delle relazioni amorose, come denuncia la canzone.
Gli uomini non cambiano
prima parlano d’amore
e poi ti lasciano da sola
gli uomini ti cambiano
e tu piangi mille notti di perché
invece, gli uomini ti uccidono
e con gli amici vanno a ridere di te.
Le donne piangono e si chiedono il motivo per cui gli uomini le trattano così male, mentre gli uomini sono ritratti come violenti e pericolosi (“ti uccidono”) e superficiali, poiché ridono con i loro amici della sofferenza delle donne. Le parole affidate alla voce di Mia sono terribilmente attuali in questi anni di molteplici femminicidi che vengono periodicamente alla ribalta della stampa italiana. Inoltre, da queste righe emerge un’altra componente della supremazia maschile. Gli uomini sono potenti anche grazie ai gruppi di amici che li supportano, alla mentalità del branco, mentre le donne tendono a essere sole e isolate. Questa è una verità che le donne imparano solo col tempo e la cantante chiarisce questo fatto alla fine dell’ultima strofa, che descrive il dolore di una donna dopo la sua prima volta. L’atto sessuale è descritto quasi come un’aggressione, in cui la donna viene lasciata “in un angolo e sconfitta”. Ella viene privata della possibilità di avere parte attiva nel fare amore, mentre l’uomo conduce il gioco senza attenzione alle esigenze della sua partner (“Lui faceva e non capiva / Perché stavo ferma e zitta”) e senza nemmeno sforzarsi di capire perché la donna non fosse più coinvolta. L’esperienza, però, rende le donne forti e insegna loro le dinamiche degli uomini in gruppo, come viene esplicitamente dichiarato:
ma ho scoperto con il tempo
e diventando un po’ più dura
che se l’uomo in gruppo è più cattivo
quando è solo ha più paura.
Gli uomini non sono invincibili, ed hanno anche paura quando sono da soli. E le donne, quando comprendono questo fatto, riescono a riacquistare parte del potere nelle relazioni. Ciononostante, la strofa successiva mette di nuovo in risalto la riluttanza a cambiare dell’universo maschile e come essa sia collegata a uno squilibrio di reddito che porta a una sorta di economia del sesso (“fanno soldi per comprarti / e poi ti vendono di notte”) ed allo stesso tempo tristemente, a una completa mancanza di comprensione tra i desideri degli uomini e quelli delle donne (“ti danno tutto quello che non vuoi”). Le donne hanno anche un ruolo attivo nel perpetuare il patriarcato, come dice esplicitamente la cantante:
ma perché gli uomini che nascono
sono figli delle donne
ma non sono come noi
Uomini e donne sono collegati e fanno entrambi parte del problema. Questa situazione è quindi disperata? La canzone offre una possibile soluzione? La fine dell’ultima strofa lascia un barlume di speranza. L’amore è l’unica forza che abbia il potere di correggere gli squilibri tra i sessi e che dunque possa costringere gli uomini a cambiare, perciò l’amore è l’unica speranza che la cantante può offrire al pubblico.
amore, gli uomini che cambiano
sono quasi un ideale che non c’è
sono quelli innamorati come te.
Sebbene gli uomini aperti al cambiamento siano pochi e quasi solo un miraggio, gli uomini diventano pronti a cambiare quando sono innamorati, come la cantante dice al “tu” della canzone, un compagno maschile idealizzato che la ama e che è disposto a cambiare per lei. I critici apprezzarono questa canzone, ma ancora una volta Mia non vinse il festival, classificandosi al secondo posto. “Gli uomini non cambiano” venne poi inclusa nel successivo album di Mia, Lacrime, pubblicato nel 1992 sempre dalla Fonit Cetra. Sull’onda di Sanremo, l’album fu un successo, e la popolarità di Mia era molto alta, come attestato dalla sua partecipazione a molti eventi televisivi (Augliera, 81-85). Nello stesso periodo, Mia Martini ricomincia a collaborare con sua sorella, Loredana Berté, e l’anno seguente le due presentarono un duetto a Sanremo con la canzone “Stiamo come stiamo”, che però non venne ben accolta dalle giurie, e nel 1994 Mia non prese parte al festival.
Nel suo ultimo album, La musica che mi gira intorno (1994) Mia seleziona e interpreta grandi successi di altri autori, fra cui Lucio Dalla e Ivano Fossati. In questo periodo, Mia aveva molti progetti, incluso un nuovo album dedicato alla luna, come aveva annunciato al suo fan club nel marzo del 1995 (Augliera, 191), e un duetto con Mina, che non ebbe mai luogo.
La vita e la carriera di Mia Martini terminarono all’improvviso il 12 Maggio 1995. La cantante fu trovata morta nel suo appartamento, in circostanze non chiare, probabilmente per un’overdose.
Il mistero che avvolge la sua morte, che comprende le voci su un possibile suicidio immediatamente smentite dalla famiglia, ha contribuito al suo mito e nel 2019 Riccardo Donna ha diretto un film sulla sua vita, dal titolo Io sono Mia. Dal 1996 il premio della critica di San Remo, che ella vinse per tre volte, è stato rinominato in suo onore il Premio della Critica Mia Martini.
Bibliografia
Augliera, Pippo. Mia Martini: La Regina Senza Trono. Guida, 2005.
Coccoluto, Salvatore. Mia Martini: Almeno Tu Nell’universo. Imprimatur, 2015.
Mandelli, Carlo. Mia Martini: Come Un Diamante in Mezzo Al Cuore. Arcana, 2009.