(Di Valentina Gentile, Independent Scholar)
Nel breve scritto “How to grow old” di Bertrand Russell (tradotto in italiano “Del modo d’invecchiare”, e confluito nel volume Una filosofia per il nostro tempo) c’è, nella parte finale, una delle frasi più consapevoli sull’arte (e sulla paura) di crescere e di invecchiare. Secondo il filosofo e matematico premio Nobel britannico, un percorso di vita appagante ha bisogno che l’ego personale si dissolva nel corso del tempo in qualcosa di più grande. Utilizzando la metafora esistenziale del fiume (abusata ma pur sempre efficace), Russell paragona l’esistenza umana ad un torrente, all’inizio piccolo e (proprio per questo) impetuoso, che via via prende forza e scorre appassionatamente tra le rocce e sopra le cascate, fino a quando trova la sua dimensione, si allarga e fluisce tranquillo, per arrivare “senza interruzione e senza dolore” a immergersi direttamente nel mare. Allo stesso modo, rendendo i propri interessi, le proprie vedute sempre più ampi, “le mura dell’ego cederanno e la vita si immergerà nel flusso della vita universale”. Un’immagine acquatica, fluttuante, un passaggio che evoca il “nuotare nell’aria” di continua crescita e catarsi che caratterizza il percorso artistico e umano dei Marlene Kuntz, una delle band più importanti nella storia del rock italiano.
È in Piemonte, a Cuneo, cittadina vicina all’arco alpino occidentale, che nel 1989 tre studenti universitari, Riccardo Tesio, Luca Bergia e Cristiano Godano, danno vita ai Marlene Kuntz. Evocativi e complessi (d’altronde vengono da una terra di letterati, resistenza, illustri scrittori, vini pregiati e lingua d’oc) sin dalla scelta del nome, che rimanda a Marlene Dietrich e a un gioco di parole (poi pragmaticamente abbandonato) ispirato al brano “Kuntz” dei dissacranti Butthole Surfers, i Marlene si distinguono da subito nel glorioso panorama musicale dell’epoca: nel 1994 pubblicano Catartica, loro primo album in studio (“Catartica è l’album che abbiamo rischiato di non fare”[1], racconterà anni dopo Godano), disco di irresistibile potenza, straordinaria miscela di rabbia, urla post punk e lirismo raffinato. È già chiara l’indole elaborata del gruppo: in piena onda lunga grunge, le 14 tracce della band cuneese spaziano da contaminazioni noise degli amati Sonic Youth, “onde di parole” vomitate come nell’esplosiva intro “M.K.”, tempeste elettriche abrasive come in “Festa Mesta” e “Merry X-Mas”, all’eleganza (sarà la cifra stilistica del gruppo e del paroliere Godano) lirica di “Nuotando nell’aria” e a tratti psichedelica di “Lieve” e ai “lampi, tuoni e saette, schianti di latte, fragori e albori di guerre universali e scontri letali” di “Sonica”, indiscutibile anthem per almeno un paio di generazioni di “gioventù sonica”.
Il 1994 è un anno particolare; in Europa è tornata la guerra nella ex Jugoslavia (al rogo della Biblioteca Nazionale di Sarajevo i Csi dedicheranno di lì a poco, nel 1996, “Cupe Vampe”, che apre l’album “Linea Gotica”), in Ruanda, nel giro di circa 100 giorni vengono massacrate oltre 1 milione di persone, in un genocidio tra i più spaventosi della storia. In Italia, tra Mani Pulite e stragi mafiose, siamo gli albori della seconda Repubblica, e la vittoria elettorale di Silvio Berlusconi, controverso tycoon che resterà protagonista dei successivi 30 anni di storia nazionale, stravolgerà la politica, l’immaginario e la struttura sociale del Paese. Il panorama musicale sembra essere, come nel resto del mondo, ancora un inesauribile fermento di generi, idee, contaminazioni a cui l’esplosione del grunge (proprio nel ’94, i primi di aprile Kurt Cobain, frontman dei Nirvana, si suicida nella sua casa di Seattle, la città da cui tutto era partito) avvenuta qualche anno prima, ha spalancato prospettive e possibilità: la musica indipendente vive una stagione unica, forse la prima nel nostro paese con gruppi come Afterhours, Csi, Üstmamò, Mau Mau, La Crus, Massimo Volume, 99 Posse, Almamegretta. In questo contesto, musicalmente ricco e sfaccettato, Catartica è la rivelazione dell’anno, l’esordio tempestoso, letterario, ispido e romantico di una band che dimostra subito di saper fare magnificamente rock autoriale in italiano. Ed è quello di cui la musica indipendente (e non solo) nostrana aveva bisogno in quel preciso momento storico.
Le caratteristiche dei futuri Marlene ci sono già tutte: la complessità d’insieme, che già, si intuisce, travalica la corrente rumorosa per spaziare, per “nuotare nell’aria”, alternando urla di rabbia a poesia smisurata, leggerezza a oscurità. Già è chiaro il talento autoriale di Cristiano Godano, che nei testi evoca con poesia il furore post-adolescenziale di Orso, irresistibile protagonista di “Sonica”, che vediamo spostarsi goffo e con passo irregolare, a ritmo sbilencamente marziale su un crescendo in re minore e magnifiche, luminose sciabolate elettriche, in direzione opposta alla massa di persone, percorrendo con le mani in tasca, chissà, forse i portici di una città di provincia immersa nella nebbia:
Le mani dentro a un buco
tasche sfinite
vociare di monete obsolete
Orso ci vede nebulosamente
nebulosamente
già
E ancora, nella ballata per eccellenza, “Nuotando nell’aria”, che inizia con un attacco parlato, quasi rap, “Pelle, è la tua proprio quella che mi manca in certi momenti” per poi procedere languida in un crescendo enfatico che dilata ritmo e parole, fino all’arrivo di un’acme inaspettata, imprevedibile, fatta di urla sullo sfondo, per poi tornare nel languido lirismo precedente. C’è, nel testo di “Nuotando nell’aria”, storia di un’assenza, fatta di desiderio e idealizzazione, una cura e un gioco di ripetizioni, allitterazioni raffinate
Odori dell’amore nella mente,
dolente, tremante, bruciante …
intanto, l’aria intorno è più nebbia che altro
che richiamano i giochi linguistici di Vladimir Nabokov nell’incipit di Lolita: “Lolita, light of my life, fire of my loins. My sin, my soul. Lo-lee-ta: the tip of the tongue taking a trip of three steps down the palate to tap, at three, on the teeth. Lo. Lee. Ta.” [2] Del grande autore esule russo Godano è infatti da sempre estimatore.
I dischi successivi non tradiscono le premesse; brani rabbiosamente plumbei come “Cenere”, struggenti e cupi come “L’esangue Deborah”, sensuali e inquietanti ballate come “Ti giro intorno” (da Il vile, 1996), stranianti come “L’odio migliore”o “Le putte” si alternano a canzoni più “melodiche” come “L’abitudine”, “Una canzone arresa” o la splendida “Infinità” (da Ho ucciso paranoia 1999). È un percorso, quello dei Marlene, che alterna coraggiosamente, con la chitarra di Riccardo Tesio e la batteria di Luca Bergia (al basso si avvicenderanno, tra gli altri, Dan Solo e Gianni Maroccolo, fino a Luca “Lagash” Saporiti nell’attuale formazione insieme a Davide Arneodo) rumori ricercati a melodie avvolgenti, coadiuvati dalla voce spigolosa ma capace di grande dolcezza di Godano. Basti pensare a “La canzone che scrivo per te”, prezioso duetto con Skin, o a “E poi il buio” (da Che cosa vedi 2000) in cui il parlato alla Massimo Volume si fonde con un romanticismo inquieto sintetizzato nel ritornello:
E quando la luna verrà sarà la stessa di allora?
Quella che di noi farà di nuovo una cosa sola?
E quando la luna verrà sarà la stessa di allora?
Quella che dopo ci porterà alle carezze dell’aurora?
La band piemontese ha continuato a crescere musicalmente in accuratezza e intensità, tra sonorità rock, a tratti decadenti e ballate emozionanti. C’è spazio per sperimentazioni post rock alla Mogwai (“L’inganno”, da “Bianco Sporco” 2005) e collaborazioni con il mitico corregionale Paolo Conte, contaminazioni jazz, sperimentazioni inaspettate (come nella bizzarra “Fantasmi”, dall’album Uno del 2007, dove il mood “old west” incontra l’approccio alla Csi). I testi di Godano sono diventati sempre più ricercati, colti, densi di riferimenti letterari e artistici; Updike, Schiele (“Ricordo” e “Schiele, lei, me” da “Senza peso”, 2003), Gadda (“La cognizione del dolore” da Bianco sporco, 2005). Il coraggioso album Ricoveri virtuali e sexy solitudini del 2010, è denso di noise, elettricità e invettive contro le derive tecnologiche.
Nel 2013 esce Nella tua luce nono album in studio; arrangiamenti raffinati, poesia, energia rock, è un po’ la summa del percorso dei Marlene, una prova brillante e per niente scontata. Si va dall’evocativa, rarefatta title track (“Scoprirai che gli atti della tua bontà mi possono proteggere”), al trascinante refrain rock de “Il genio” dedicato ad Oscar Wilde, e al rock cinematografico de “La seduzione”. C’è la commovente “Catastrofe” riflessione dolcissima su “com’è facile perdere la dignità”, la sorprendente “Giacomo eremita”, su una base quasi grunge che a tratti ricorda gli Screaming Trees. Perla assoluta, e sintesi della potenza poetica e musicale di Godano e dei Marlene è “Osja, amore mio”, in cui Godano dà voce a Nadia Mandel’štam, moglie del poeta Osip “Osja”, vittima delle grandi purghe staliniane, in uno struggente crescendo che illumina il buio di una solitudine straziante. Nadia imparò a memoria tutti i versi di Osja, per salvare l’opera di un grande poeta dalla distruzione, ma anche per tenere vivo e vicino il suo amato, dentro di sé:
Ogni tua immagine
ogni tua parola pregevole
ogni verso e ogni miracolo
della tua maestà poetica
imparerò, ooh
Osja, amore mio
forse tornerai
e io non ci sarò più
se mi senti dimmi dove sei
Pezzo dalla bellezza straziante, con un incipit sonoro dolcemente marziale, è il magnifico ritratto in chiaroscuro di una donna straordinaria e la perfetta sintesi di sensibilità letteraria e musicale raggiunta dal gruppo piemontese, che nel frattempo, ad oggi ha realizzato altri due album, l’ultimo dei quali, Karma Clima nel 2022, concept che affronta (principalmente, ma non solo) il cambiamento climatico. Denso di energia rarefatta, con synth analogici, orchestrazioni e pianoforte in primo piano, è un mix di dolcezza e angoscia, un “suono della rabbia”, parafrasando il titolo del bel libro di Cristiano Godano uscito nel 2024 per Il Saggiatore, dilatato e riflessivo. Ed è la riprova che la band cuneese ha, da sempre, saputo (ri)mettersi in discussione, riuscendo a creare un mondo artistico sfaccettato, atipico e coraggioso, miscela esemplare di luce e oscurità. Soprattutto, tornando alla citazione iniziale di Russell, Karma Clima è la conferma di quel flusso: se una delle caratteristiche della band è stata da sempre la capacità di fondere, con le doti già elencate, una straordinaria vocazione intimista ad una capacità di relazionarsi al mondo che, lontana anni luce da qualsiasi traccia di cosiddetto “impegno” o “combat rock”, sa e ha sempre avuto il coraggio di prendere posizione, album come Nella tua luce e Karma Clima ne sono, in modi diversi, le prove più riuscite.
Così, nonostante l’atteggiamento apparentemente ritroso di Godano e soci, non è difficile riscontrare, nel corso degli anni le tante volte che i Marlene Kuntz hanno elegantemente preso posizione; con la scelta dei luoghi dove da sempre suonano, le collaborazioni, le scelte artistiche come la messa in musica di “Hanno crocifisso Giovanni”, dalla poesia di Lea Ferranti (si trova in Materiale resistente, cd celebrativo dei 50 anni di resistenza), o la cover di “Bella Ciao” ancora una volta in duetto con Skin, accompagnata da un video girato a Riace (ai tempi in cui il sindaco Mimmo Lucano e il suo progetto di integrazione venivano violentemente attaccati dall’allora Ministro degli Interni Matteo Salvini). Un po’ come accadeva con il maestro Nabokov, che riluttante e caustico nei confronti di ogni tipo di esibizionismo politico, rispondeva, a chi gli chiedesse quale fosse il “messaggio” delle sue opere; “Messaggio? Non sono mica un postino, non porto messaggi”[3]. Eppure con la sua letteratura, con i suoi libri ha saputo, eccome, raccontare il mondo che lo circondava trasformandolo in un mondo “suo”, apparentemente distaccato. Allo stesso modo fanno straordinariamente bene i Marlene, con il loro equilibrio, ormai maturo, tra personale e universale. I Marlene Kuntz hanno purtroppo nel frattempo perso il batterista Luca Bergia, scomparso prematuramente pochi mesi dopo l’uscita di Karma Clima, primo album nel quale non aveva suonato. Il percorso della band continua, tra tour, progetti vari, collaborazioni, colonne sonore e sperimentazioni, per restare coerenti continuando ad evolversi.
[1] Cristiano Godano, Nuotando nell’aria, La Nave di Teseo, 2019, p. 15.
[2] Vladimir Nabokov, Lolita, Penguin Putnam, 2000, p. 5.
[3] Vladimir Nabokov