(Polignano a Mare 1928- Lampedusa 1994)
Di Vito Portagnuolo (Scuola Normale Superiore)
Modugno aveva trent’anni quando il mondo della musica gli sorrise e lo accolse a braccia aperte, le stesse braccia che Mimì (come lo chiamavano in Puglia) spalancò al mondo quel 1° febbraio 1958, vincendo la kermesse canora del Festival di Sanremo.
La sua “Nel blu dipinto di blu”, che ben presto diventò per tutti “Volare”, portata sul palco dell’Ariston con Johnny Dorelli, è ancora oggi, stando ai dati della SIAE, la canzone italiana più suonata al mondo con 800 mila copie vendute in Italia, 22 milioni nel mondo. Il brano passò alla ribalta l’anno seguente anche negli Stati Uniti, classificandosi nella hit parade per 13 settimane consecutive, un vero e proprio record per un brano italiano.
Mr. Volare seppe conquistare tutte le età con la sua canzone, dal testo semplice e onirico, il sogno di ogni uomo che desidera un contatto con l’infinito, il desiderio di evasione dalla realtà per vivere una vita “più in alto del sole / ed ancora più su”. All’alba, purtroppo, con la sparizione della luna, i sogni tendono a svanire: “ma tutti i sogni nell’alba svaniscon perché / quando tramonta la luna li porta con sé”. L’io lirico, tuttavia, ritrova la sua dimensione onirica negli occhi della donna amata e può pertanto continuare il suo viaggio: “ma io continuo a sognare negli occhi tuoi belli / che sono blu come un cielo trapunto di stelle”.
Gli occhi della donna amata sono il nuovo cielo “trapunto di stelle” da contemplare per volare e cantare, come ripetuto nel celebre ritornello.
Il 1959 segna un altro punto importante della vita di Modugno, che vincerà nuovamente il Festival di Sanremo con il brano “Piove (ciao ciao bambina)”, scritta dal cantante polignanese con Dino Verde. Il brano nacque da alcuni versi annotati da Mimì mentre attendeva un treno alla stazione di Pittsburgh, in Pennsylvania, dopo aver visto l’abbraccio d’addio tra due fidanzati sotto la pioggia. Modugno aveva appuntato i seguenti versi:
Ciao ciao bambina, un bacio ancora
e poi per sempre ti perderò;
vorrei trovare parole nuove
ma piove, piove sul nostro amor.
La versione finale, con la scrittura del paroliere Verde, sarà caratterizzata da alcune varianti nel ritornello, ma i versi della stazione di Pittsburgh costituiscono di fatto il nucleo centrale del brano.
La produzione musicale di Domenico Modugno, che nella sua carriera ha anche ricoperto il ruolo di attore cinematografico, è permeata anche dal tema delicato del suicidio. Si pensi innanzitutto a “Meraviglioso”, che fu scartata dalla giuria di Sanremo, composta, tra gli altri, dal conduttore e cantante Renzo Arbore, perché narrava la storia di un uomo che, deluso dalla vita, decide di suicidarsi. Sarà un “angelo vestito da passante” a ricordargli quanto sia meraviglioso il mondo con tutti i suoi doni, il mare, l’amore; solo grazie a quest’intervento provvidenziale, l’uomo potrà riscoprire “il bene di una donna / che ama solo te”, “la luce di un mattino”, “l’abbraccio di un amico”, “il viso di un bambino”. Il testo della canzone è alla prima persona singolare, con l’io lirico che guarda l’acqua scura “con la dannata voglia / di fare un tuffo giù”.
Il tema del suicidio è centrale anche nel brano “Vecchio frak” che, come ricordato dallo stesso Modugno, è ispirato alla vicenda del principe Raimondo Lanza di Trabia (marito dell’attrice Olga Villi), che nel novembre 1954 era morto precipitando da una finestra dell’Hotel Eden a Roma, gesto ricondotto al suicidio, ma la cui dinamica non è mai stata del tutto chiarita.
L’atmosfera del brano è cupa:
È giunta mezzanotte
si spengono i rumori
si spegne anche l’insegna
di quell’ultimo caffè
le strade son deserte,
deserte e silenziose,
un’ultima carrozza,
cigolando se ne va.
In questo paese completamente dormiente, nel cuore della notte, soltanto un vecchio frak vaga nel fiume: si ignora il proprietario di quella giacca, non si conosce nulla sulla sua storia, ma l’io lirico non sembra avere molti dubbi sulla vicenda narrata.
Il frak, sospinto dalle onde, se ne va verso il mare e sembra dire:
Adieu, adieu, adieu, adieu
addio al mondo
ai ricordi del passato
ad un sogno mai sognato
ad un abito da sposa
primo ed ultimo suo amor.
Una vita interrotta, un sogno mai sognato, nulla a che vedere con il viaggio onirico di “Volare”.
Proprio qui sta la complessità dell’universo di Modugno, in bilico tra inno alla vita e disillusioni, tra sogno di una vita migliore e drammaticità della vita presente. Quella stessa drammaticità che porterà Modugno a interpretare “Amara terra mia” di Giovanna Marini, brano che mostra con crudezza tutte le difficoltà di lasciare la terra natia, una terra amara ma ossimoricamente bella, amata e al tempo stesso disprezzata. La desolazione delle campagne vede un bimbo piangere allattato da un seno magro, che non può nutrirlo: è l’ora dell’addio, di congedarsi dal proprio amore, per lasciare la terra, in cerca di un altrove.
Il legame con l’amara terra è ben evidente anche nella produzione dialettale di Modugno, che sin dalla giovinezza si era cimentato con il dialetto sanpietrano (varietà dialettale del paese di San Pietro Vernotico, in provincia di Brindisi, dove il piccolo Mimì si trasferì nel 1932 con la sua famiglia a causa del lavoro del padre). Il dialetto sanpietrano, afferente ai dialetti salentini, fu sin da subito associato ai dialetti siciliani, poiché appartenente alla stessa area linguistica.
Modugno stesso confermò di aver scritto quei testi in siciliano, dopo il trionfo di “Volare”: se da una parte il dialetto siciliano era più noto e corrispondeva, a detta del cantante pugliese, a una scelta artistica della RAI, la popolazione pugliese mal tollerò questa dichiarazione e i rapporti tra il giovane Mimì e la sua terra natia si incrinarono sempre più con l’avanzare degli anni e il prosieguo della produzione musicale in dialetto.
Tra le prime canzoni in dialetto sanpietrano si ricordino “La cicoria”, “Musciu niuru”, “La donna riccia” e “Lu pisci spada”.
Modugno attinse molto al bacino dei canti popolari e si fece egli stesso interprete di celebri canti, tra cui spicca, in dialetto siciliano, “Malarazza”, pubblicata nel 1976. Mimì, pugliese di nascita e siciliano di adozione, soprattutto in seguito alle nozze con l’attrice messinese Franca Gandolfi celebrate nel 1955, abbracciò anche la cultura musicale partenopea. Nel 1957, ad esempio, aveva scritto, con il già citato Dino Verde, il brano “Resta cu mme”, che ha conosciuto negli anni innumerevoli esecuzioni da parte degli artisti più influenti del panorama musicale italiano. Di Modugno, inoltre, è la musica di “Tu sì ’na cosa grande”, composta con Roberto Gigli, brano che riscosse immediatamente un grande successo, vincendo nel 1964 il Festival di Napoli.
Siamo di fronte a un’artista poliedrico, che si è cimentato con diversi stili e diversi linguaggi, creando un diorama fitto di numerosi intrecci dialettali, con uno sguardo sempre attento al mondo del cinema. Per citare la rappresentazione più emblematica di Modugno, per quanto concerne la fusione del linguaggio cinematografico con quello musicale, si pensi alla sua collaborazione con Pier Paolo Pasolini, che scrisse per il cantante il testo del brano “Che cosa sono le nuvole”; Modugno recitò nel film “Capriccio all’italiana”, nell’episodio “Che cosa sono le nuvole”, interpretando la canzone omonima. Importante menzionare qui anche il breve e intenso sodalizio con il poeta Salvatore Quasimodo, che dopo l’incontro con Modugno gli concesse l’autorizzazione per mettere in musica due sue poesie, “Ora che sale il giorno” e “Le morte chitarre”.
Forse ormai conscio dei pochi anni che avrebbe ancora vissuto, dopo l’ictus del 1984, Modugno riuscì a realizzare, con il figlio Massimo, l’ultimo suo dolce capolavoro, “Delfini (Sai che c’è)”, composto nel 1993, l’anno prima della sua scomparsa.
In un mondo di “rifiuti, pescecani ed SOS”, dove è facile annegare perché, come riportato da “un grande filosofo indiano”, “nel mare della vita\ i fortunati \ vanno in crociera\ gli altri nuotano\ qualcuno annega”, i due protagonisti del brano, ovvero due delfini, nuotano ignari dei problemi che li circondano.
Quasi come un testamento spirituale risuonano gli ultimi versi del brano, che sfida la morte, perché la vita stessa è “morire cento volte”:
sai che c’è
non ce ne frega niente
la vita è, è morire cento volte
siamo delfini
giochiamo con la sorte
sai che c’è
non ce ne frega niente
vivremo sempre
noi sorrideremo sempre
siamo delfini
è un gioco da bambini il mare
sai che c’è
è un gioco da bambini il mare.
Mi piace pensare che Mimì sia stato un po’ come un delfino, è morto e rinato cento volte, in mille linguaggi e stati d’animo, ha attraversato correnti e affrontato onde con il sorriso perché, in fondo, come ha cantato poco prima di morire, “è un gioco da bambini il mare”.
Qui sta tutta la poesia del blu dipinto di blu di Domenico Modugno.
“Piove” vinse l’edizione di Sanremo del 1959