(Roma, 1951-)
(di Francesco Ciabattoni, Georgetown University)
Le canzoni di Francesco De Gregori sono considerate tra le più raffinate e importanti nella storia della musica italiana contemporanea. Ai suoi esordi al Folk Studio di Roma, il cantautore mostrava una certa influenza dell’ermetismo visionario di Bob Dylan e un interesse per la musica folk, le storie personali e l’esperienza storica collettiva. Uno stile unico e senza pretese, quello di Francesco De Gregori, che è in grado di canalizzare un inconscio simbolico condiviso attraverso immagini straordinarie, spesso esponendo i mali e le vergogne di una nazione o liberando una speranza che sembrava dimenticata. Dopo le iniziali collaborazioni con Antonello Venditti, Mimmo Locasciulli e Giorgio Lo Cascio, De Gregori ha prodotto diversi album da solista e altri in collaborazione con Lucio Dalla (Banana Republic, 1979; Work in Progress, 2010), suo fratello Luigi Grechi (Il bandito e il campione, 1993) e Giovanna Marini (Il fischio del vapore, 2002). L’arte di De Gregori spazia dall’affascinante semplicità e disarmante bellezza di “Buonanotte fiorellino” allo spaventoso ritorno delle ideologie totalitarie in “Rumore di niente”, alla responsabilità dei politici per i massacri mafiosi in “Sangue su sangue” (Canzoni d’amore, 1992).
Ponendo l’accento sulle esperienze condivise di sentimenti privati e ideali collettivi, De Gregori esprime il suo impegno civico attraverso l’uso di riferimenti letterari a scrittori come Ernest Hemingway, Franz Kafka, Hans Magnus Enzensberger, Pier Paolo Pasolini, Eugenio Montale, Katherine Ann Porter, Manuel Scorza, Bertolt Brecht. De Gregori colloca le sue canzoni di impegno civico e antifascismo in una visione Gramsciana della storia. Sebbene nei suoi testi non si trovi alcuna esposizione programmatica della filosofia della storia di Gramsci, la visione della storia di De Gregori, articolata in canzoni come “Generale” (De Gregori, 1978), “Viva l’Italia” (Viva l’Italia, 1979 ), e “La storia” (Scacchi e tarocchi, 1985) è una forma di idealismo storico di stampo gramsciano, che interpreta gli eventi come un processo in cui le persone sono protagoniste e il tempo è un prodotto sociale delle complesse e contraddittorie azioni collettive. Molte canzoni mostrano un interesse per gli strati subalterni della società, presentando però individui di quei gruppi nei loro aspetti privati e poetici, come accade in “La ragazza e la miniera” (Francesco De Gregori, 1990) e “Terra e acqua” (Viva l’Italia, 1979). Pur non abbracciando mai il materialismo storico radicale del marxismo e pure non aderendo a slogan politici, De Gregori colloca le sue canzoni d’amore all’interno di una tale visione della vita sociale generata dalle pratiche capitaliste.
Le canzoni d’amore di De Gregori conservano uno spazio per l’espressione dello spirito individuale attraverso la decostruzione dei luoghi comuni amorosi: “Rimmel” (Rimmel, 1975) “L’uccisione di Babbo Natale” (Bufalo Bill, 1976), “Bellamore” (Canzoni d’amore, 1992). Lo stile e l’originalità delle canzoni d’amore di De Gregori possono essere apprezzati soprattutto se confrontati con quelli delle canzoni d’amore tradizionali in Italia dagli anni ’70 in poi, compreso il banale “linguaggio normativo” stabilito dal Festival di Sanremo. Il linguaggio lirico e musicale di De Gregori nelle canzoni d’amore si discosta radicalmente dai cliché e dalle norme convenzionali della tradizionale canzone italiana. Non solo abbandona le formule d’amore tradizionali, ma le riscrive per sovvertire la retorica musicale e lirica delle canzoni d’amore. Sia lo stile che il contenuto mescolano elementi di folk, ispirazione lirica e impegno etico / civico. Per esempio, l’album del 1992, intitolato Canzoni d’amore, contiene solo due canzoni che parlano esplicitamente dell’amore (“Bellamore”, “Stella della strada”), mentre le altre nove trattano di corruzione politica, squilibri sociali e possibile ritorno di il fascismo all’inizio della seconda repubblica italiana (“Rumore di niente”). Così, amore e politica, sentimenti privati e vita collettiva della società procedono di pari passo nella poetica di De Gregori.
Diverse canzoni di De Gregori raccontano lo spostamento di individui, un’epopea di migrazione dentro e fuori l’Italia, o verso l’Italia dai paesi più poveri. L’Italia viene alternativamente vista come una comunità da cui partire o in cui arrivare, una prospettiva che offusca i confini. Questa epopea, però, non ha nulla di eroico: in “Stella Stellina” (Viva l’Italia, 1979) una giovane donna lascia il suo villaggio rurale nel sud Italia per vivere in una città industrializzata del nord, faticando per adattarsi al nuovo contesto sociale. “Nero” (Terra di nessuno, 1986) enfatizza le dinamiche razziali nell’Italia contemporanea, un uomo di colore è migrato in “una grande città del nord” (la città è Latina, ironia della sorte non è una grande città né nel nord del paese). La canzone, dall’album Terra di nessuno, problematizza l’identità di un migrante di colore che ha viaggiato “dalla periferia del mondo a una città”, nonostante la sua sensibilità intellettuale e il senso dell’umorismo si dimostra molto simile a quello del canone occidentale. Attingendo a Kafka, “L’abbigliamento di un fuochista” (Titanic, 1982) presenta un giovane migrante italiano che, imbarcatosi sul Titanic come fuochista, si accinge a partire mentre saluta sua madre sul molo. Infine, “Pablo” (Rimmel, 1975) racconta la storia di un immigrato in Svizzera che piange la morte del suo amico sul lavoro mentre celebra la sua memoria vivente. Poiché una prerogativa della musica pop è che deve essere eseguita per e condivisa da un vasto pubblico, la domanda posta da Gayatri Chakravorty Spivak (“Can the subaltern speak?”, che è debitore della teoria dei subalterni di Gramsci) diventa particolarmente rilevante e può essere risolta in un modo piuttosto complesso: se il subalterno si condivide ed esegue una canzone che è stata scritta da qualcuno che non appartiene a un gruppo di subalterni, può davvero parlare, o almeno cantare?
La musica popolare, che è cosa diversa dalla popular music, è un elemento importante dell’identità italiana, che ha attirato l’attenzione critica di etnomusicologi come Alan Lomax, Diego Carpitella e Giovanna Marini. Il folk revival della musica popolare italiana degli anni ’70 ha ispirato diversi cantautori a fondere elementi di musica popolare provenienti da varie regioni della penisola con le influenze del blues, del folk e del pop americano. L’influenza di artisti americani e canadesi come Bob Dylan, Joan Baez e Leonard Cohen è percepibile nella prima produzione di Francesco De Gregori, che ha poi introdotto le canzoni popolari italiane nel suo repertorio. Per il cantautore i canti popolari sono fonte di ispirazione e mezzo per canalizzare la voce collettiva del popolo contro l’establishment, dei migranti che lottano per integrarsi o delle minoranze i cui diritti fondamentali vengono violati (“Ipercarmela,” Bufalo Bill, 1976; “Stella stellina”; gli album Viva l’Italia e Il fischio del vapore).
Nel 2015 De Gregori è tornato a Bob Dylan traducendo undici canzoni del cantautore americano in De Gregori canta Bob Dylan – Amore e furto. Il cantautore romano ha spiegato come l’amore, l’imitazione e il furto siano inestricabilmente legati quando si scrivono canzoni o poesie.
Il 6 novembre 2017 De Gregori è stato ospite della Casa Italiana Zerilli-Marimò
di New York. Clicca QUI per vedere l’intervista.