Il cielo in una stanza

Words & music by Gino Paoli - 1960

Quando sei qui con me,
questa stanza non ha più pareti
ma alberi,
alberi infiniti…

Quando sei qui vicino a me,
questo soffitto viola
no, non esiste più:
io vedo il cielo sopra noi
che restiamo qui, abbandonati
come se non ci fosse più
niente, più niente al mondo…

Suona un’armonica,
mi sembra un organo
che vibra per te e per me
su nell’immensità del cielo.

Suona un’armonica,
mi sembra un organo
che vibra per te e per me
su nell’immensità del cielo,
Per te, e per me
nel cielo…

The Sky in the Room

Translated by: Rachel Ballenger

When you are here with me
this room no longer has walls
but trees
infinite trees…

When you are close
the purple ceiling breaks open
no, it no longer exists.
I see the sky above us
and we are here, abandoned
as if there were nothing,
nothing else in the world…

I hear a harmonica
it sounds like an organ
playing for you and me
in the immense sky.

I hear a harmonica
it sounds like an organ
playing for you and me
in the immense sky
for you, for me
in the sky.

Di Marianna Orsi (University of Hawaii at Manoa)

Nel 1960, un timido e ancor poco noto Gino Paoli esegue Il cielo in una stanza per un discografico, che ascolta e sentenzia che il pezzo non avrebbe mai funzionato. Paoli ringrazia e se ne va.

Il paroliere Mogol, però convince Mina a incidere il pezzo e il successo è immediato.

Canzone d’amore in linea con i toni intimisti della nascente Scuola genovese e, almeno in apparenza, non lontana dai modi dell’imperante canzone d’evasione, per molti descrive un sentimento etereo, incorporeo, spirituale. Il fatto che a interpretare il brano fosse una donna rafforza la teoria; come afferma lo stesso Paoli, infatti, a quel tempo, alle donne delle canzoni non spettava un ruolo attivo specialmente nella relazione amorosa.

La canzone, in effetti evita di descrivere la coppia di amanti e le loro azioni, secondo la tradizione retorica della reticenza; si sofferma sull’ambiente che li circonda e sulla forza dell’amore che travolge tutto, sfonda le pareti e li trasporta in un’altra dimensione.

Le intenzioni di Paoli, però, erano tutt’altre e Il cielo in una stanza è un testo, a suo modo, rivoluzionario.

Allo stile della canzonetta degli anni Cinquanta, al suo linguaggio letterario, artificiale, fitto di troncamenti, assonanze, rime (cuor, amor, dolor…), Paoli oppone uno stile essenziale, autentico. Agli spazi stereotipati della canzonetta, i mari del sud, i loci amoeni evocati con formule trite e vuote (prati in fiore, cieli stellati…), oppone uno spazio realistico e quotidiano. Al tema dell’amore consacrato dal matrimonio, onnipresente come supremo obiettivo nella canzone degli anni Cinquanta, Paoli oppone un amore effimero, extra-coniugale ma estatico.

La stanza in questione, infatti, come può far supporre il soffitto viola, è quella di un bordello, con tanto di specchio sul soffitto. Prima dell’approvazione della Legge Merlin nel 1958, infatti, in Italia erano presenti più di cinquecento bordelli e Genova, città portuale, era famosa per le sue vie a luci rosse (presenze fisse nelle canzoni di De André). Da adolescenti, Paoli e i suoi amici frequentavano spesso le case chiuse, anche solo per giocare a dama con le signorine, non avendo i soldi per pagare.

A proposito de Il cielo in una stanza, Paoli dichiara: “Inizialmente […] fu interpretato come una sorta di amore mistico, quasi cattolico, slegato dalla realtà, senza riscontri fisici. Io invece ero partito proprio dall’idea opposta: […] l’atto d’amore […] è una sorta di messa […], squarcia il tetto e ti fa vedere il cielo […], ti proietta in una realtà superiore […] [è] un sacrificio umano talmente straordinario da aprire qualsiasi porta, qualsiasi tetto, fino a far diventare la brutta stanza di un casino una cattedrale con gli alberi che toccano il cielo. È l’unico momento in cui un uomo non è più se stesso, ma esce da sé ed esplode nell’universo” (da Ornella Vanoni, Gino Paoli, Enrico de Angelis, Noi due, una lunga storia, Milano, Mondadori, 2004, pp. 55-57). L’armonica, invece, rivela Paoli, l’aveva suonata al matrimonio di suo nonno Gino, sposatosi in tarda età: “Quella canzone è la celebrazione di un rito, di un officio, di qualcosa di sacro come è fare l’amore. Il riferimento all’armonica ci stava bene” (http://www.ginopaoli.it/ginopaoli/biografia.asp).

Per Paoli il tema amoroso non è affatto disimpegnato, anzi, è la sua peculiare forma di impegno politico: opporsi alla morale dominante, alla visione angelicata della donna unicamente moglie-madre-oggetto amato, promuovendo l’eguaglianza di genere, dando voce all’amore non conforme.